Un leone costretto a restare in equilibrio sul dorso di un cavallo. Un orso picchiato con bastoni e uncini di ferro, obbligato a camminare su una fune. Una scimmia ferita, incitata a combattere per strappare qualche risata al pubblico. Non sono scene da film horror, ma episodi quotidiani in molti zoo e circhi in Cina, dove la sofferenza degli animali viene usata come forma di intrattenimento.
La realtà è scioccante e straziante: animali selvatici vengono domati con metodi brutali, spesso sotto l’effetto di sedativi, incatenati, affamati o picchiati per piegarne la volontà. Nei cosiddetti “parchi faunistici”, l’orrore si spinge oltre: maialini vivi venduti come spuntino per tigri, lanciati in pasto tra le urla esultanti dei visitatori. In un recente video girato a Dongguan, si vedono cuccioli lanciati da una piattaforma in una vasca d’acqua, sotto lo sguardo divertito del pubblico. Un atto crudele, che ridicolizza la vita e normalizza la violenza.
La mancanza di leggi nazionali contro la crudeltà sugli animali in Cina permette che tutto questo accada impunemente. Le tigri vengono sedate e immobilizzate su lastre di cemento per permettere ai turisti di sedersi sopra di loro e scattare fotografie. In altri casi, si assiste a bambini che lanciano conigli vivi nei recinti dei leoni, trasformando la morte in un macabro gioco.
È inaccettabile. La sofferenza non è spettacolo. Il dolore non può essere business.
Ogni vita — anche la più piccola, rinchiusa dietro le sbarre arrugginite di uno zoo dimenticato — ha valore. E noi non possiamo più restare a guardare.
Occorre una presa di posizione internazionale, una condanna unanime di queste pratiche disumane. Servono leggi, controlli, educazione. Serve rispetto. Perché la civiltà di un Paese si misura anche da come tratta chi non ha voce.