MARIA TERESA LIUZZO
IN VEGLIA D’ARMI E PAROLE, AGAR Ed. RC, 2023
DI CARMELO CICCIA
La multiforme attività di Maria Teresa Liuzzo s’è estrinsecata per molti anni mediante libri, riviste, incontri culturali e relazioni con personaggi della cultura di tutto il mondo. Pur avendo pubblicato opere sia di poesia sia di narrativa, in realtà il mondo interiore dell’autrice è essenzialmente poetico, tant’è che anche le opere in prosa sono poetiche. Infatti anche in questo lavoro la poetessa manifesta la sua vocazione alla poesia; già il titolo In veglia d’armi e parole evoca la veglia durante un combattimento fatto con parole nell’agone poetico: infatti l’endiadi armi e parole potrebbe sciogliersi in ”Parole armate di poesia” – E ad un certo punto lei dice esplicitamente: ”Poesia, tu che il mio cuore possiedi, / facendo primavera ogni deserto; / tu madre, padre, giaciglio, focolare e morte, / quando per cielo mi fu dato un pozzo” / (pag.71). Ora questo lavoro sembra un poema, ma non lo è, poiché non ha né suddivisione in canti o parti numerate / intitolate, né vicende, né personaggi; anzi l’unico personaggio o protagonista è l’autrice stessa, che si profonde in una successione di strofe, definita nell’introduzione ”filza di versi”. Questi talora sono oscuri o senza senso e non sempre logoramente connessi ai precedenti, ma tuttavia fanno riflettere. L’autrice ripete temi e stilemi delle precedenti opere: ed è sempre forte l’attrattiva di questa poesia, che culla, accarezza e fa meditare. Si tratta di pennellate con pensieri e sensazioni, elucubrazioni ed immagini, che scorrono veloci grazie alla musicalità dei versi, spesso endecasillabi corroborati dalle rime. E non si può negare ad una poetessa il diritto di palesare ancora il suo stato d’animo, sia pure riproponendo parole e concetti, con nuove confessioni che soddisfino il suo bisogno di comprensione e di condivisione. Anche questo lavoro della Liuzzo, dunque, ha carattere intimistico, esternando una serie di dubbi, certezze e timori. Oltre gli accenni a coronavirus, di cui la poetessa ricorda tamponi, morti e cadaveri, e oltre alla crudeltà di una madre, già discussa e deplorata in varie opere, nel testo domina un senso di pacata mestizia; traccia di una vita intrisa di una sofferenza non riuscita a riscattare, almeno del tutto. La poetessa parla anche d’ossa di morte, parola che ritorna più volte, così scrive: ”La morte è parte viva di me stessa / sostanza che abito, carne e terra, / pietra viva a cui mi appoggio.” (pag. 47). Con ciò non mancano momenti di serenità: ”Ti giunga per Natale una carezza in dono / e tra fogli stropicciati il mio perdono. / Al buio questo amore reincarnato / il tepore conosce delle mie mani e del mio fiato” (pag.32); ma non mancano passi in cui s’incontrano pure spunti ironici e giocosi, utili a variare il contesto, magari con giochi di parole come il seguente: ”Non trova pace la lampada a petrolio, / sconfitta la soffitta” (pag. 67-68). Di tanto in tanto affiorano dichiarazioni e fantasticherie, che rivelano un animo sognatore: ”Castelli non possiedo né una patria/ se non la luna coi suoi mulini a vento, / presi in affitto e senza alcun profitto.” (pag.92); mentre frequenti sono gli epifonemi che imprimono al discorso un tono di sentenziosità, come in questo caso: ”Puri ci rende la morte / e la pietà felici” (pag. 60). E certe lapidarie frasi sembrano sassi lanciati al vento affinché esso li sparga di qua e di là colpendo e scuotendo le persone di buona volontà. / La forma linguistico-espressiva è del tutto corretta, sia pure con vocaboli dotti e ricercati, talora desueti o non consueti, che, anche se non riescono chiari, ad ogni modo rivelano una consolidata maestria nell’arte poetica e una grande cultura attinta a tutti i campi del sapere. Il periodare è sempre, asciutto e conciso, con proposizioni spesso nominali. I versi scorrono come grani di un rosario e le strofe come sue poste. Frequenti sono le figure retoriche: oltre all’endiadi e all’epifonema, abituale è l’iperbato e occasionali la metafora, la metonimia, l’ossimoro e altre, che costituiscono l’intreccio di questo lavoro. Come al solito, buona parte di questo libro è occupata da Mauro D’Castelli, che al riguardo ha scritto l’introduzione, le note al testo e un lungo saggio critico filosofico; mentre Wafaa El Beih ha scritto la postfazione.
C. C.