MARIA TERESA LIUZZO
… E ADESSO PARLO!
UNA STORIA CHE ASSURGE A PARADIGMA DI TUTTE LE STORIE,
”DOVE LA MORTE E LA VITA CONTINUANO A DONARSI SENZA VELI PERCHE’ OGNI STORIA E’ DONNA E OGNI DONNA E’ STORIA DELLA PROPRIA VITA”.
di VITTORIO PICCIRILLO – SCRITTORE
Fin dalle prime righe di E adesso parlo!, il romanzo di Maria Teresa Liuzzo edito da A.G.A.R. Editrice, 160 pag. di una densità non comune, si viene investiti da un torrente impetuoso di parole e immagini, colori e suoni. E’ una sensazione che spiazza, disorienta e rende difficile capire con esattezza ciò che si ha per le mani. L’impressione è quella di essere travolti da un’onda anomala, che trascina via ogni persona e ogni cosa. Si annaspa invano alla ricerca di un appiglio per tirarsene fuori, ma non c’è modo di contrastare una forza simile, si può solo cedere all’impeto della corrente, in attesa di scoprire dove condurrà. Si vorrebbe smettere di leggere, eppure non si riesce a farlo. Si vorrebbe guardare altrove, eppure non si riesce a distogliere lo sguardo dalle pagine. Come accade di fronte all’orrore nella sua forma più pura, la mente smarrita si blocca. Si può solo continuare, aggrappandosi alla speranza che esista una fine, una luce per quanto debole in fondo alla galleria. Così, a poco a poco, innumerevoli frammenti in apparenza slegati iniziano ad avere un senso, a dare forma a un quadro nel quale sono mescolati elementi che appartengono a molteplici piani, differenti prospettive che rivelano altrettanti chiavi di lettura. Prendere in mano … E adesso parlo! significa avventurarsi in uno scenario di devastazione, in una catastrofe esistenziale le cui dinamiche vanno comprese ricostruendo ciò che è accaduto a partire dai miseri resti che la protagonista si è lasciata alle spalle. Diventa così necessario cambiare radicalmente atteggiamento, quasi improvvisarsi ”indagatori dell’incubo” per districarsi in un affresco grondante di negatività, al limite della dannazione, alla ricerca delle risposte agli interrogativi ancestrali che tormentano ogni coscienza. Quanta sofferenza può sopportare una persona? Quanto a lungo può resistere un’anima pura, votata all’amore ma investita da una tempesta di odio? L’intero arco della vita di Mary, dai primi innocenti vagiti fino ai respiri stentati di un’anzianità disillusa, dal giorno in cui venne messa al mondo fino agli ultimi anni che ci vengono raccontati, è una costante discesa nelle profondità di un inferno che non offre alcuna via di redenzione attraverso un Purgatorio e un Paradiso che non consente mai di giungere ”a riveder le stelle”.
La sua vicenda è un continuo calvario, un’esistenza oppressa dal martirio fisico e spirituale: una Via Crucis composta di infinite stazioni, diretta verso un Golgota dove una crocifissione senza possibilità di resurrezione attende la protagonista. Non si può rimanere indifferenti di fronte a una situazione familiare e sociale che rappresenta lo specchio di un’epoca sciagurata, gravida di colpe che in troppe vorrebbero cancellare seppellendole sotto una coltre di silenzio. L’utilizzo di tratti autobiografici, laddove pare di intuire la presenza, rimane sfumato in virtù di quella che si presenta come una scelta precisa. In tal modo, infatti, la storia di Mary diventa l’emblema di un’infamia privata e pubblica che ci saremmo dovuti lasciare alle spalle da tempo, e che invece ritorna costantemente nei fatti di cronaca, anche ai giorni nostri. La tragedia personale di Mary si sviluppa in parallelo con la nostra storia; mentre la cappa di indifferenza che avvolge la protagonista si solleva, evento dopo evento, e la sua vita si svela, disgrazia dopo disgrazia e non si può evitare di rendersi conto che il mondo forse è cambiato, ma la mentalità della gente è ben lontana dal fare altrettanto. Eppure quella di Mary non è una storia di disperazione, anzi è l’esatto opposto. Quando la realtà si fa troppo dura, il sogno diviene la via per la salvezza, la dimensione in cui rifugiarsi, lo scudo celeste per difendersi dal dolore. Maggiori sono le angherie alle quali la protagonista è sottoposta, maggiori i soprusi ai quali deve sottostare, e maggiore è la forza con cui reagisce, aggrappandosi all’emozione che la tiene legata alla vita in maniera indissolubile: l’amore, nel suo duplice rivolgersi all’umano e al divino. Anche nei momenti peggiori, tale sentimento sgorga dal suo cuore come da una sorgente inesauribile. Esso viene respinto da quanti la circondano, imprigionando Mary in una gabbia di vessazioni e opprimendola con la depravata oscurità che alberga in loro. Dal padre – padrone violento alla madre complice, da uno stuolo di parenti – serpenti fino alla figlia crudele, perfido sangue del suo stesso sangue: tutti rifiutano Mary e il dono di luce che serba nel cuore. In tal modo, però, esso rimane concentrato dentro di lei, conferendole un’energia che non può essere contenuta né trattenuta. L’amore si pone così al centro dell’universo della protagonista. Esso si concretizza nell’intensità della relazione con Raf, che permea ogni singolo istante dell’esistenza di Mary: la loro è un’alchimia che si sviluppa e sublima a livello metafisico, come può avvenire soltanto fra anime affini, possedute da fuoco sacro dell’arte; è una passione lontanissima da ogni risvolto fisico, e proprio per questo capace di raggiungere vette di coinvolgimento spirituale di gran lunga superiori a quelle della carnalità più impetuosa. Non meno importante è il rapportarsi di Mary all’immanente, la sua relazione diretta con il divino. Talvolta Mary esita, come qualsiasi essere umano; dubita di se stessa e della consapevolezza che ogni destino è scritto e che ha uno scopo preciso nel grande disegno della vita, dubita persino della volontà di Colui che ha stabilito il suo; ma a tale volontà si rimette, e rinasce ogni volta nella purezza della fede, … E adesso parlo! non è un’opera facile. Non vuole esserlo, non deve esserlo Persino la più normale e tranquilla delle esistenze non lo è. Quella vissuta dalla protagonista è il simbolo di un’ingiustizia atavica, la denuncia di una cruda verità dinanzi alla quale troppo spesso si chiudono gli occhi; è una voce soffocata in una gola serrata nel cappio dell’angoscia, un urlo silenzioso che finalmente ha trovato la forza di erompere, e che non può essere ignorato da chiunque abbia la presunzione di possedere una briciola di umanità.
Vittorio Piccirillo