venerdì, Ottobre 11, 2024
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di Wafaa El Beih: Le parole rosa di Maria Teresa Liuzzo – ”Danza la notte nelle tue pupille”

Le parole rosa di Maria Teresa Liuzzo

Danza la notte nelle tue pupille

 

a cura di Wafaa El Beih

 

“Siamo sospiri divini, vele di parole avide d’inchiostro,/ la rosa che s’impregna di rossore./ Siamo primavere innamorate/ Del miele dell’inverno,/ germogli sempre nuovi di un amore/ che orbita nella memoria dei sensi/ e nell’oro delle spighe”. (Oh, amore! Vestiremo,…)

Una chiave di lettura di Liuzzo è l’amore che si identifica e insieme si ricongiunge con quello mostrato nella prima pagina scritta in italiano, il Cantico delle Creature di San Francesco. La preghiera del santo di Assisi e la voce di Liuzzo portano a Dio ammirando la natura così strettamente connessa a Lui. I due poeti sembrano innamorati, con il cuore di un bambino che ci mostra cosa siano davvero la tenerezza e la sensibilità. Nel Cantico sono state presentate “donne” importanti del Creato: sora Luna, sora Acqua e Madre Terra. La luna è bella, gli antichi ne erano incantati; l’acqua è utile, umile, preziosa e casta; la Terra non è solo sorella, ma è anche madre. In Liuzzo, il paesaggio naturale si estende più ricco e più vivace; alle “donne” del Cantico si aggiunge la suora Rosa, una figura femminile questa che ci dice che l’amore nelle pagine di Liuzzo è un amore spirituale, sì, ma è anche un amore sensuale, passionale, terreno, quello che ridesta i sensi e dà nuovo vigore, amore che “orbita nella memoria dei sensi”, dando il senso di una totale comunione con cosmo. Un fermento umanistico?
Sì, ma senza inviti. Qui, la rosa non si coglie per fare ghirlande; la rosa è simbolo di una saggezza antica che scorge la fine nel momento in cui vede l’inizio. Il messaggio conclusivo degli umanisti non è lo stesso di Liuzzo: l’invito a cogliere “la bella rosa del giardino”, “mentre è più fiorita”  che è l’equivalente del carpe diem oraziano, è  stato, per gli uomini del Quattrocento, un’esortazione a godere il presente e i suoi piaceri perché “ruit hora”; la rosa del ventunesimo secolo è attaccata, invece, alle sue spine, al suo destino, fino a sanguinare: “E tu amami/ Come il roseto ama/ Le sue spine/ Quando il sole s’impiglia/ Tra i boccioli/ Sino a sanguinare”. (Tra battiti di pioggia,…)

Mauro d’Castelli commentando i “Soffi di memoria”, dove “Irrompe l’alba a falda a falda/ Nel terreno tra petali di rose/ E l’anima colma d’emozione”, scrive: “Il petalo della rosa è l’aulica e soffice “parola prima” del Creato, quando le proiezioni interiori di Liuzzo lo interrogano. E negli anni, questo fiore, continua ad essere un riferimento per Liuzzo, la sua pietra di paragone- in una sorta di civetteria, ma molto seria” (p. 40). In questo contesto, il rapporto che si annoda tra la poetessa e la rosa tra le pagine di Danza la notte nelle tue pupille, pare salvare la memoria individuale e quella di tutta l’umanità e costruirne il futuro, anzi il destino: questa rosa “baciata” dalle spine, che si vanta gloriosa e immortale nei confronti del tempo, ha le sembianze della rosa profunda di Borges: “La rosa immarcescibile che non canto,/ quella che è peso e fragranza/ quella dell’oscuro giardino della notte fonda,/ quella di qualunque giardino e qualunque sera,/ quella che risorge dalla tenue/ cenere per l’arte dell’alchimia,/ la rosa dei persiani e di Ariosto/ quella che è sempre sola,/ quella che è la rosa delle rose,/ il giovane fiore platonico,/ l’ardente e cieca rosa che non canto,/ la rosa irraggiungibile”. La rosa della persiana Mille e una notte, di tutto il raccontato e il raccontabile, è anche di Ariosto, il poeta dell’indicibile, simbolo della letteratura, e dell’unica possibilità di scrivere che resta all’uomo moderno: “perché/ un libro esista veramente/ ci vogliono l’aurora e il tramonto,/ secoli, armi e il mare che unisce e separa”. La rosa di Borges raccoglie in sé, appunto come quella di Liuzzo, la natura e la storia, l’andare e il venire, unisce i contrari, l’aurora e il tramonto, la memoria e l’oblio: “La città è un manichino di polvere/ Nel vano pianeta che ci inganna. / Ci guida il germe dei ricordi/ Dove? Non importa./ E io ti cerco tra parole incompiute/ E il bianco-rosa degli oleandri amari:/ la negra oscurità avrà di noi cura. (Oblio buio di clessidra)

D’Castelli coglie l’eco delle civiltà orientali, e addirittura di quella islamica sul volto della rosa liuzziana: “ogni rosa è il riflesso di un sorriso o di una parola gentile, ed ogni spina il risultato di un’azione cattiva o di una brutta parola” disse una volta uno sceicco, secondo quanto viene tramandato dalla tradizione persiana. Anche una rosa, come la parola, può essere pregnante di conseguenze. Nel mondo islamico si dice pure che è dovere di chi sa o ha visto un’ingiustizia di porvi rimedio con le sue mani (e non si intende con la violenza); e se non può con le mani, allora con la sua parola (letteralmente con la sua bocca); e se non può con la parola, allora con il cuore” (pp. 70- 71). In effetti, i riflessi e i colori dell’Oriente concepiti da D’Castelli acquisiscono maggiore vivacità nel componimento Haiku che fa pensare subito a Matsuo Bashō, maestro indiscusso che, per primo, ha innalzato gli haiku ad una vera e propria forma d’arte. La compresenza di elementi del vivere quotidiano, spesso umili, e dei segni delle emozioni dei due poeti, immersi nella natura, in una mescolanza di bellezze universali e di oggetti comuni, di banale e caduco e di sublime ed eterno, è forse la massima espressione dell’opera di Bashò e del componimento di Liuzzo. Qui, la rosa di Liuzzo può essere considerata un kigo, cioè la parola che per i giapponesi rimanda chiaramente ad una specifica stagione della natura e della vita umana: “Danza la luna/ Ma la nostra canzone/ Notte è di vento./ Sorge il mattino/ Su bacche e su cristalli/ Trine di sole./ Pugno di case./ Verdi guanciali/ Hanno sfere di luce./ Alberi curvi./ Sulla riva del lago/ Punte di stelle./ Battito lento/ Un verso clandestino/ Bocca di rosa. […]/ Nasce settembre./ Un volo di rondini/ Lega le nubi./ Mare celeste./ Tu, modellami, creta,/ gambo di rosa. […]/ Baci di vento./ Parole Rosa/ Modula canto e fuoco”.

Parole Rosa; la rosa cessa, in Liuzzo, di essere solo oggetto, per diventare un’essenza, un’idea. E, se Eco si chiede se l’essenza di una rosa, e quindi di ogni cosa, sia nel suo nome, pare opportuno, in un certo qual modo, che ci arrendiamo al potere della Rosa con le parole di Giorgio Caproni, in Concessione: “Buttate pure via/ ogni opera in versi o in prosa. / nessuno mai è riuscito a dire cos’è,/ nella sua essenza, una rosa”.

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