Dopo 17 anni di attese e tensioni, è arrivata la sentenza per un agguato che aveva scosso la criminalità organizzata della periferia nord di Napoli. Il processo riguarda un tentativo di epurazione interna al clan Lo Russo, uno dei gruppi più potenti e temuti della zona. Nel gennaio del 2008, due esponenti del clan, Vittorio La Sala e Sandro Paternoster, furono vittime designate di un agguato che avrebbe dovuto porre fine alla loro “autonomia” all’interno del gruppo. I due, però, riuscirono a salvarsi miracolosamente.
La decisione di eliminare La Sala e Paternoster fu presa dai “capitoni” del clan Lo Russo, i quali avevano percepito che i due si stavano staccando dal controllo diretto della cosca, diventando troppo indipendenti per i loro gusti. L’agguato, tuttavia, fallì, e dopo quasi due decenni di indagini e processi, sono arrivati i verdetti.
Il tribunale ha condannato a 11 anni di reclusione Nicola Di Febbraro<span;> e Giovanni Sirio, due importanti figure del clan, accusati di essere stati tra gli autori materiali e ideatori dell’attentato. Ma la notizia più significativa riguarda l’assoluzione di Bernardo Torino noto anche come ‘o limon, uno dei ras di Miano, accusato di aver dato il suo sostegno all’agguato. La sua assoluzione è stata possibile grazie alle difese dell’avvocato Domenico Dello Iacono, che ha evidenziato le numerose contraddizioni e discrepanze nelle testimonianze dei pentiti, in particolare di Vittorio La Sala, che aveva inizialmente tirato in ballo Torino solo al terzo interrogatorio.
Un altro fattore determinante per l’assoluzione di Torino è stato il fatto che, pur essendo stato nominato da un pentito del clan, il suo nome non è mai stato confermato da Antonio Lo Russo, che nel frattempo è diventato anch’egli collaboratore di giustizia. Nonostante Lo Russo avesse dato il suo avallo all’agguato, non aveva mai fatto riferimento direttamente a Torino nelle sue dichiarazioni.
Nel frattempo, Vittorio La Sala, il principale testimone e collaboratore di giustizia, ha visto ridurre la sua pena a tre anni, segno di come la giustizia abbia riconosciuto il suo ruolo nella vicenda, ma anche la sua cooperazione nelle indagini.
La sentenza di oggi chiude una pagina importante della lotta interna al clan Lo Russo, ma al contempo, solleva interrogativi su come le dinamiche di potere all’interno delle organizzazioni criminali continuino a rimanere complesse e difficili da decifrare, anche per la giustizia.