Flavio Canfora, Stavo andando dal medico – BookSprint Edizioni, luglio 2020
– Recensione a cura di Eugenio Maria Gallo –
Bello il racconto di Flavio Canfora scritto in una prosa fluida, che spinge ad una lettura agile e piacevole. Bello e interessante, nelle sue quattro parti, il lavoro di Flavio Canfora invita ad una lettura profonda e attenta, che a me è piaciuto fare secondo una misura metaforica, entrando così nella profondità più recondita della problematica che accompagna il testo. L’autore coglie ed esprime, nelle proprie pagine, l’inquietudine dell’uomo contemporaneo che, nel proprio quotidiano percorso di paziente intento a frequentare medico e medicine, dà vita ad un cammino di senso che riguarda quel breve viaggio che è la vita. Ed è proprio la condizione di ricerca che spinge il protagonista a meditare e a porsi domande. “La vita – scrive Flavio Canfora – è un brivido che vola via, è tutto un equilibrio sopra la follia” (Cfr. p. 52). Veramente da meditare questo passaggio sulla vita, quasi espressione d’un bisogno di senso, che l’uomo cerca e che non sempre riesce a cogliere e a fermare. Da questo bisogno di senso nascono domande cui però il protagonista sembra avere, per risposta, solo l’eco della propria voce. E sono domande di senso che si pongono, ad esempio, il problema del male, della sofferenza e di altro ancora. E la risposta? “La sofferenza – si legge – è dovuta ad un ristagno spirituale, ad una sterilità psichica. Fede, speranza, amore e conoscenza: ecco ciò di cui ha bisogno il paziente per vivere” (Cfr. p. 29). E non è facile aver fede, sperare, amare e conoscere, forse anche per questo la vita può essere un’esistenza mancata, un incubo che tiene sospeso l’uomo sul vuoto della follia. Forse per questo la vita può diventare e, talora, è un carcere in cui è chiusa l’anima. Il segreto per non cadere è il meditare. E meditare su cosa? Sul senso. Quanti fantasmi si aggirano intorno alla nostra quotidianità, quanti incubi: sono l’angoscia dei nostri pensieri. La vita, in quanto esistenza, spesso la dirige il caso, che genera questi fantasmi e se ne nutre. Sono queste le oscure “entità” che ci opprimono. “Avete mai fatto l’esperimento dello specchio? – scrive Flavio Canfora – Dovete fissare la vostra immagine, allo specchio, per cinque minuti. Dopo cinque minuti la mente si stanca di vedere la stessa immagine. E può darsi che allo specchio, appariranno i vostri demoni del passato. Se non li vedete, e continuate a vedervi voi, significa che i demoni vostri siete voi” (Cfr. p. 63). È il demone, allora, che bisogna scacciare. E, per farlo, bisogna trovare dei punti fondamentali su cui consistere. “In carcere – si legge – si ha molto tempo per pensare. Io pensavo ai tre cardini fondamentali: Amore, tempo e morte” (Cfr. p. 64). Il tempo è la dimensione dell’esistere, nel cui arco si svolge la vita dell’uomo hic et nunc. La morte è il dopo, l’eterno. L’amore è l’essenza dell’anima, la forza interiore, l’energia che spinge l’uomo a vivere, ad amare se stesso e la vita. “Non bisognava avere paura della vita. – scrive Flavio Canfora – Bisognava abbondonarsi ad essa” (Cfr. p. 79). Questo è il segreto: vivere, lottare per vivere. La società è e sarà quello che è e che sarà, ma non bisogna lasciarsi andare, anzi si deve vivere con tutta la propria energia, soprattutto nei momenti più grigi. In fondo, “il fiore che sboccia nelle avversità è il più profumato di tutti” (Cfr, p. 40). È questo, forse, il senso recondito di queste pagine ed è questo il senso o la metafora della vita, il fiore che si annida nella fatica dell’essere.
Eugenio Maria Gallo