C’è amarezza e rabbia nelle parole di Gennaro Panzuto, l’ex boss della camorra oggi impegnato in un percorso di riscatto accanto a don Salvatore Saggiomo, Garante dei diritti dei detenuti della Provincia di Caserta. La sua voce, ormai da anni simbolo di una conversione difficile ma sincera, si alza come un grido nel vuoto: “Nessuno ha mai fatto nulla per cambiare davvero Napoli. Tutti parlano di legalità, ma nessuno ha mai costruito alternative concrete per i nostri giovani. Qui continuiamo a piangere i figli di Gomorra perché la politica li ha dimenticati”.
Panzuto parla con cognizione di causa. Conosce le strade, le dinamiche, i codici di quel mondo che un tempo era il suo. Oggi guarda quelle stesse strade con occhi diversi, ma lo spettacolo che vede non è cambiato. “A Napoli e in provincia – spiega – si è fatta abitudine al male. Ogni volta che un ragazzo spara, che un minore finisce in carcere, che un altro muore in strada, si parla per due giorni e poi si dimentica. Non c’è un solo partito, né di destra né di sinistra, che abbia messo davvero nei propri programmi il problema della criminalità minorile e del sistema penitenziario. Sono temi che non portano voti, perché non fanno rumore. Ma senza affrontarli, non cambieremo mai”.
Le parole di Panzuto non sono semplici accuse, ma una denuncia lucida, costruita su anni di esperienze nelle scuole, nei carceri e nei quartieri difficili. Insieme a don Saggiomo, ha incontrato centinaia di ragazzi, ha ascoltato le loro storie e i loro sogni infranti, ha visto la miseria morale e materiale di chi nasce in contesti dove lo Stato non arriva e la camorra diventa l’unica istituzione visibile. “Ci vuole una politica positiva, capace di costruire, non di distruggere. La politica deve tornare a essere un servizio, non una carriera. Io ho visto il male, ma so anche che il male si può fermare solo con l’educazione, con il lavoro, con la speranza. Non con le carceri piene e le promesse vuote.”
Il suo discorso è diretto, senza filtri, e colpisce nel cuore di una città dove la povertà e la criminalità sono ormai intrecciate in un nodo difficile da sciogliere. “A Napoli – continua Panzuto – un ragazzo su tre non studia e non lavora. Vive in quartieri dove l’unico modello vincente è il criminale con la moto e la pistola. Gli adulti tacciono, le istituzioni guardano altrove. Poi ci scandalizziamo quando un quattordicenne uccide per una collana o per una sigaretta. Ma dove erano la scuola, la politica, la famiglia, quando quel ragazzo cresceva senza regole? Dov’erano quando potevano salvarlo?”.
Secondo Panzuto, il dramma dei “figli di Gomorra” non è solo un problema di ordine pubblico, ma una questione morale e sociale che la politica ha colpevolmente ignorato. “Le campagne elettorali si fanno a colpi di slogan su sicurezza e carceri – dice con amarezza – ma nessuno parla mai di rieducazione. Nessuno parla dei detenuti che studiano, lavorano, cambiano. Nessuno parla di quei ragazzi che dopo un errore cercano una seconda possibilità. La politica ha paura di queste storie perché mostrano le sue mancanze. Eppure è proprio lì che nasce la vera rinascita di Napoli.”
L’ex boss non risparmia critiche neppure al sistema penitenziario: “Le carceri oggi sono discariche umane, non luoghi di recupero. In troppi istituti manca tutto: il personale, i programmi di reinserimento, la formazione. Poi ci chiediamo perché chi esce torna a delinquere. È lo Stato che lo spinge a farlo, lasciandolo senza strumenti. Se un detenuto cambia, lo fa solo per la forza del cuore, non perché lo Stato lo aiuti”.
Le parole di Panzuto trovano eco anche in molti operatori del settore, che da anni denunciano la stessa emergenza. Eppure, le istituzioni sembrano sorde. Ogni visita, ogni relazione, ogni rapporto finisce negli archivi, mentre nelle celle cresce la disperazione e nelle periferie la violenza diventa linguaggio quotidiano.
“Napoli non ha bisogno di eroi, ma di politici veri – conclude Panzuto –. Di uomini e donne capaci di scendere per strada, di sporcarsi le mani, di ascoltare. Finché la politica non tornerà a guardare in faccia la sofferenza della sua gente, continueremo a perdere i nostri figli. E io non posso più accettarlo in silenzio, perché li vedo morire ogni giorno.”
Un grido amaro, quello di Gennaro Panzuto, ma anche un appello potente. Perché se chi un tempo ha scelto la via sbagliata oggi trova il coraggio di denunciare le ingiustizie e chiedere una politica più umana, forse è davvero tempo di ascoltare. Non per perdonare, ma per costruire. Perché la giustizia che non sa di umanità non è mai vera giustizia, e Napoli – come il Paese intero – non può più permettersi di dimenticare i suoi figli prima ancora di averli educati.









