Il 30 luglio 2000, Giulio Giaccio, un giovane operaio di 26 anni originario del quartiere Pianura di Napoli, scomparve nel nulla. Quella che sembrava una semplice scomparsa si rivelò presto una tragedia: il suo corpo fu ritrovato anni dopo, sciolto nell’acido. La causa di questa morte atroce fu un errore di persona: Giaccio fu scambiato per un uomo di nome Salvatore, ritenuto responsabile di una relazione con la sorella di Salvatore Cammarota, esponente del clan Polverino. Convinti che Giaccio fosse l’amante “indesiderato”, Cammarota e Carlo Nappi, anch’egli affiliato al clan, ordinarono il suo rapimento e omicidio. I due, fingendosi poliziotti, sequestrarono Giaccio, lo torturarono e lo uccisero con un colpo di pistola alla testa. Successivamente, il corpo fu distrutto con l’acido. La vicenda rimase irrisolta per oltre due decenni, fino a quando nel 2022 le indagini, riaperte grazie alle dichiarazioni di collaboratori di giustizia come Giuseppe Simioli e Roberto Perrone, portarono all’arresto dei due mandanti. Nel luglio 2024, entrambi furono condannati a 30 anni di reclusione per omicidio volontario, mentre altri tre esecutori materiali del delitto ricevettero la stessa pena. Nonostante l’esito del processo, la famiglia di Giaccio ha rifiutato un risarcimento offerto dai condannati, dichiarando di voler ottenere giustizia attraverso le vie legali e non accettare denaro da chi ha causato la morte del loro caro. La vicenda di Giulio Giaccio rappresenta una dolorosa testimonianza degli errori che possono derivare da vendette personali e della necessità di giustizia per le vittime innocenti della criminalità organizzata