
09/10/25 – “Comprare un pallone?
Ma quando mai…
Io non sapevo neanche cosa fosse un vero pallone.
Ero l’ultimo di cinque figli, figlio di una mamma casalinga e di un padre contadino che si era spaccato la schiena in fabbrica, alla Gerli di Cusano Milanino.
Avevamo poco, pochissimo, ma quella povertà ci insegnava a inventare la felicità con niente.
Abitavamo in una cascina.
Quando ammazzavano il maiale, a noi bambini toccava la vescica.
La facevamo seccare, la riempivamo di stracci, e quello era il nostro “pallone”.
Ci giocavamo per ore, come se fosse d’oro.
Io mi allenavo con una lattina di Simmenthal.
La prendevo a calci da casa fino a scuola, poi la nascondevo in un cespuglio e all’uscita la riprendevo per il viaggio di ritorno.
Quella lattina era il mio sogno, la mia passione, la mia prima compagna di allenamento.
Era un’Italia povera ma viva, fatta di sacrifici e sogni grandi.
Un’Italia che non tornerà più, ma che ci ha insegnato tutto: la fame, la fatica, e la gioia delle piccole cose.”
Giovanni Trapattoni
Uno degli ultimi di quel calcio poesia e gioco vero a cui chi è nato dopo il duemila non conosce fatto di valori sacrificio e passione
Ci piace .









