IL FIUME DELLE MIE LACRIME POESIA DI MEHMET RREMA
INTERPRETATA E TRADOTTA IN ITALIANO DA MARIA TERESA LIUZZO
DIRETTORE DELLA RIVISTA DI CULTURA INTERNAZIONALE ”LE MUSE” –
POETA- SCRITTRICE- SAGGISTA- CRITICO LETTERARIO E D’ARTE-
OPINIONISTA- OPERATORE CULTURALE- TRADUTTORE- GIORNALISTA-
EDITORE (ITALIA)
Anche oggi ho sofferto,
a stento ho frenato le lacrime
arginate tra le ciglia.
Il dolore logora la mia anima.
Non voglio che mi vedano piangere,
l’amarezza crudele è un fiume sommerso.
Il mio cuore batte con ritmi folli,
sembrano i ferri dei cavalli quando corrono sui ciottoli.
Drena il sangue, litigano diastole e sistole
aprendo ferite nel cuore.
Inseguo un giorno di pace.
Nessuna tristezza conforta il mio dolore.
Sento un martello pneumatico
attraversare le ossa e scavare nel cervello-
Ah questa notte profonda, è un mantello per il mondo!
Andate in esilio pensieri malvagi,
incubi della mia solitudine.
Questo mondo non si sveglierà
e sarà succube della sua trance.
Sto pagando la vendetta di un crimine innocente
come avvenne con l’agnello
quando si avvicinò al ruscello per dissetarsi
e lo paragonarono al nonno
quando fu accusato dal lupo di sporcare le acque.
Il dolore si è centuplicato
trasformando il mio corpo in cenere.
Piango senza farmi vedere.
Va’ via maledetto dolore,
stai lontano dalla mia vita.
Sono nato tra il fumo e sto morendo tra le fiamme.
A stento freno l’impulso delle lacrime.
Il lutto ha indossato
la camicia importante della domenica.
L’ingiustizia è un corazziere
sullo spigolo di una tomba immaginaria.
Se qualcuno piangerà domani, per me, su questo marmo fantasma,
se le lacrime si trasformeranno in fiori,
dove cresceranno se non avrò
neppure il conforto di una lapide?
Il fiume delle mie lacrime scorre,
attraversa la strada vecchia percorsa dal torrente.
Ho dimenticato di contare i giorni e i nomi delle stagioni.
Il fiume dell’oblio è mutato in mare.
Invano cerco la pace con gli occhi del cielo
che hanno perso lo splendore delle equoree pupille.
L’onnipotente è polvere e fumo,
il cuore un ghiacciaio perenne.
Sono vittima di un odio patologico
erede di un dolore senza tempo.
Non esigevo la gioia e la pace.
Pretendevo giustizia e non pietà.
Piove una lacrima
dall’arcobaleno dei miei occhi.
– Vuoi vedermi in ginocchio.
Se non trovi una tomba
per portarmi fiori di campo,
sappi che non mi arrendo alla tua assenza.
Se mi cercherai
dimostrerai di avere grazia
e dove sono stato sepolto fioriranno le Miosòtide
– non ti scordar di me –
e i rami profumati del pesco.
So che il sole tornerà a risplendere
ed anche la rondine tornerà al suo nido.
Oggi festeggiano con sangue, vino e arrosto.
Lontano dalla strada si svolge una parata militare:
tutti imbracciano le armi.
I produttori del crimine sono soddisfatti
davanti agli acquirenti e ai trafficanti.
Le loro pupille sono lucide, feroci come lo sguardo di una pantera.
Anche la morte è sofisticata
nei suoi stermini.
I patti sono stati stretti, gli atti firmati.
Aumentano le richieste,
si commercia la sacralità della vita.
Hanno il tanfo della morte anche da vivi.
Nessuno insegue la PACE!
Farei qualunque cosa per la giustizia.
L’odore del sangue mi ha asfissiato,
pur trovandomi dall’altra parte della strada,
quanto il fumo delle truppe
che spiano come felini nell’ombra
in attesa del prossimo ”pasto”.
Non invoco né vendetta né pietà,
solo Giustizia!
MEHMET RREMA