
E sono tre. Dopo Veneto e Umbria, anche la Calabria scivola via dalle mani del centrosinistra. Una disfatta annunciata, ma che al Nazareno cercano ancora di raccontare come “un passaggio difficile”, “una fase di transizione”, “un segnale da interpretare”. No: è una batosta politica, chiara, netta e meritata. Il Partito Democratico e la sinistra intera sembrano vivere in un mondo parallelo, dove ogni sconfitta è colpa dell’astensione, della comunicazione, della disinformazione. Mai, però, un briciolo di autocritica. Mai una riflessione vera sul perché milioni di italiani non li sentano più vicini, non si fidino più delle loro parole. In Calabria il messaggio è arrivato forte e chiaro. Nelle piazze e nei mercati la gente parla di sanità che non funziona, di giovani che scappano, di strade che crollano e ospedali che chiudono. Il PD, invece, discute di alleanze, di liste civiche, di equilibri interni. E mentre si interroga su chi debba guidare la coalizione, perde di vista chi dovrebbe rappresentare. Il risultato è l’ennesimo cappotto: tre regioni su tre, nessun segnale di inversione, nessuna proposta capace di accendere entusiasmo. Il centrosinistra continua a presentarsi come se bastasse evocare “il pericolo della destra” per convincere gli elettori a tornare all’ovile. Ma la paura non scalda i cuori, e la nostalgia non vince le elezioni. Forse, prima di convocare l’ennesima direzione nazionale o la prossima “assemblea costituente delle idee”, qualcuno dovrebbe farsi una domanda semplice: perché non ci votano più? E magari, per una volta, ascoltare la risposta.









