IL PURO LIRISMO CINQUECENTESCO DI MARIA TERESA LIUZZO
di SUSANA P. DI PALMA
Una delle più forti personalità poetiche di questo ultimo periodo è decisamente Maria Teresa Liuzzo: poetessa, critico letterario, direttrice della rivista Le Muse e celebre e raffinata talent-scout. Ha esordito nel 1992 con Radici, da allora numerose raccolte poetiche hanno confermato la sua fama e la sua singolare vena artistica ( Psiche, Apeiron, Umanità, Eutanasia d’utopia, L’acqua è battito lento, Autopsia d’immagine, Ma inquieta onda agita le vene, L’ombra non supera la luce, Genesis, Miòsotide). La poiesis di questa straordinaria scrittrice è stata notata da Giorgio Bàrberi Squarotti che ha affermato “…la nuova raccolta di poesie Miòsotide è ricca, fervida, appassionata, il discorso si è fatto più intenso, più alto più luminoso e si moltiplicano suasivamente le metafore, le similitudini, le immagini, la pienezza del cuore e dell’anima” – ( da Storia della letteratura, Segnali e interventi, 2010 Paolo Borruto, A.G. A. R.). “Nella poesia Liuzziana si avvertono presenze di preterizioni e di annominazioni, attraverso il poliptoto, atte a suffragare la grande capacità della poetessa di usare parole consimili in stesure contigue, conferendo alle componenti lessicali funzionalità, nuclei fonici quintessenziali e stati emozionali differenziati, in un linguaggio poetico ricco di unità melodiche che propone però sempre interventi didascalici, interrompendo o sviluppando, se occorre, il verso a seconda della configurazione sinestetica o in conformità al tentativo di superamento di una coscienza iperattiva”.
( Franco Maria Maggi da “Poeti e scrittori contemporanei nella Storia letteraria italiana” in Storia della letteratura, note critiche, op. cit.). La poesia pone al centro del suo Universo, l’esclusivo eterno tema dell’amore, che nel decennio precedente aveva ceduto il passo all’oggettività della vita quotidiana colta nella ricchezza dei particolari. Un ascetismo sentimentale che però esorbita da un contesto puramente privato. Euridice canta le lodi di Orfeo, attraverso una tensione tra amore e sofferenza d’amore, tra dedizione e sottomissione, nella rivisitazione della tradizione classica dei grandi lirici del ‘500, attraverso un potere della parola che conferisce integrità all’io. Come in altre poetesse di questo periodo (G. Stampa, I. Morra, V. Colonna ecc.) “La querelle des femmes” (donne intente a querelarsi elegiacamente) acquista lo spessore platonico di un’inquietudine rivolta al presente. Tutto confluisce in un flusso armonico, in una classica romantica musicalità. Alla natura viene affidato il compito di rispecchiare uno stato d’animo: del tutto estranea allo scetticismo, all’ironia e al disincanto, la Liuzzo si avvia ad aprire una nuova stagione poetica, dai toni più trattenuti e laconici. Sono versi frammentati da assonanze – allitterazioni che evitano lo spezzarsi dissonante della modernità. Come per E. Jennings ( appartenente al Movement 1956), “La poesia soltanto può cambiare il mondo e ricrearlo in ogni tratto. Costa molta fatica e spezza il cuore. Ma questo solo conta. Il verso è tutto”. (Da Poesia Febbraio 2014). Le lacerazioni dell’anima (simili alla duecentesca monaca cistercense Mechtild Von Magdeburg) sono la presa di possesso di un gesto eroico, il risultato di un’indomita energia interiore, nell’immagine pagana la menade con i capelli sciolti al vento. Un impeto di affermazione che non trova riscontro nella realtà, ma solo nella proiezione poetica, come le grandi poetesse del ‘500. La sua poesia è coerente, compatta e densa, ha la stessa forza suggestiva dei mirabili versi di Annette Von Droste-Hülshoff: “che io ti leghi tutto / con fioriti anelli d’amore / il tuo corpo voglio cingere / col santo rosario”. La forma è qualcosa di sacro: rappresenta una dignità esistenziale prima che culturale. La lingua raffinata e ricercata della Liuzzo non è soltanto espressione di magistero artistico, ma è strumento umano di unione con il creato e gli uomini. L’aggancio è con quegli aspetti della tradizione platonica e neoplatonica che possano ridare al poetico il suo cuore pulsante, la carne, il sangue, la vita, il pensiero. “Sono in definitiva le fonti eterne (…) della cultura Universale, che sempre rinasce dalle proprie ceneri e sempre si rinnova: per questo sia P. Russell che Mauro Decastelli hanno tanto insistito sul concetto di “pensiero poetico integrale” che in M. T. Liuzzo abbraccia e coinvolge la lezione dei maestri come F.B. Browning, J. Donne, S.T. Coleridge, F. Hòlderlin, A. Rimbaud, R.M. Rilke, W.B. Yeats ed altri”. ( In Genesis e Miòsotide, due nuove raccolte di M.T. Liuzzo, di Francesco De Napoli, da Personaggi per la Storia, P. Borruto, A.G.A.R.). “La parola è fuoco che rivela” come disse la stessa autrice e molto spesso lo fà seguendo l’iperbato, l’andamento iperbolico, l’enjambement. Una poesia concisa punta alla metafora come luogo di una discorsività orfica, in un connubio tra realtà e irrealtà. La scrittura è magicamente serena e leggera, poiché dissimula dietro un velo di sapienzalità, segnata dalle stimmate, una inassimilabile ed essenziale solitudine. L’autrice ha affinato il suo sentimento sulle lame elocutive-linguistiche della poesia lirica del ‘500, si rivolge a qualcuno o a qualcosa fisicamente dislocato, a una presenza che acquista corpo proprio a partire dalla sua assenza. Questa tensione, questo anelito non corrisposto, questa mancanza è l’orizzonte personale in cui si colloca l’umanità della Liuzzo. La qualità di un poeta, credo, si possa misurare dalla possibilità o meno di un vocabolario personale ben riconoscibile. Nella Liuzzo c’è una cospicua presenza di connotati emotivi-passionali (energheia). Nel garbato e improvviso alzo surreale vi si riconosce, però, una misura confidenziale e un’altra ellittica e allusiva che dal personale si apre all’assoluto. Per la Liuzzo valgono i versi del poeta Michele Marullo, vissuto a Ragusa nel 1454: “a me concedi licenza d’ardere d’un fuoco vicendevole”. Nell’alambicco alchemico dell’assonanze e delle consonanze, nei voluti e pindarici asticci fonici-semantici, vi è il farmaco che perturba tanto quanto il male. Una chirurgia del metafisico che spazia sulle superfici del visibile-formale per giungere al quid poetico, attraverso una passione dell’intelligenza che vede e si accorge di altro. Valgono, quindi, le parole dette da un’altra grande poetessa, Francesca Luzzio, su Miòsotide: “L’amore per la poesia fa sì che di fronte alla certezza della solitudine, nella sofferenza che deriva dalla coscienza storica dei mali del mondo e dalla consapevolezza della fragilità della vita, costantemente sfiorata dalla morte, la nostra Musa si erga quale Calliope, Tersicore, Erato e Melpomene insieme e canti e nel canto l’animo è placato, raggiunge i vertici dell’estasi e l’uomo amato diviene ‘canoa di ebbrezza’, ‘strumento di invasamento divino’ che ispira l’insorgere ‘di canto di acque’ e fà che il cielo sia una pioggia di stelle in questa stanza” (F. Luzzio su Miòsotide in Le Muse Aprile 2012).
Poesia tratta da Storia della Letteratura, segnali ed interventi, 2010 Paolo Borruto A.G.A.R.:
SPUME DI RIVE
Lontane, i tuoi occhi 1)
Fondali
di mobili alghe…
Quale corrente
muove il pensiero di te 2)
e alla mia mente
risale 3)
attraverso gli stadi
di altri mari profondi 4)
da quale invisibile onda
è adagiato 5)
il tuo volto
sulle mie mani
del cuore 6)
Mi raggiunge
un brivido 7)
d’ambra
e un vento
di Palme. 8)
1) Lontane, i tuoi occhi = molte poesie della Liuzzo iniziano in maniera ellittica. Il soggetto qui è Spume di Rive che sono lontane proprio come gli occhi sono Fondali simboli della inaccessibilità dell’amore. Da notare come questo verso abbia tutta l’aria di essere un Novenario (con sinalefe e dialefe) spezzato dall’enjambement (che spezza anche i versi seguenti), che costituisce il vero protagonista della lirica creando monostici di notevole effetto lirico.
2) muove il pensiero di te = l’amore che trascina come una corrente il soggetto e l’oggetto d’amore è di estrazione romantica, di Emersoniana ascendenza.
3) Risale = un monostico, dopo una rima baciata (di te- mente) isola l’intera sequenza precedente con quella seguente.
4) di altri mari profondi = settenario che si associa all’altro verso “invisibile onda” per il gioco delle consonanze e assonanze. Il soggetto ellittico è sempre la corrente che muove il pensiero, trascinandolo come un peso dentro gli abissi dell’anima.
5) è adagiato = in quale onda invisibile, da intendersi come oscura, remota, in quale, in sostanza, recesso oscuro dell’anima è adagiato il tuo volto. Come una marea la memoria porta o sottrae il ricordo, che comunque sopravvive oltre di essa.
6) del cuore = molto spesso le immagini attraversano relazioni analogiche e sinestetiche, si scambiano ruoli ed espressioni: le mani del cuore, brivido d’ambra ecc. Il volto adagiato sulle mani del cuore è una bellissima espressione romantica che credo non abbia precedenti ma per affinità e suggestioni sembra rievocare il grande misticismo tedesco.
7) un brivido = un quadrisillabo il cui ossimoro contrasta il trisillabo seguente (e un vento data l’episinalefe) E’ un senario spezzato dall’enjambement Un brivido d’ambra.
8) di palme = questo trisillabo sembra chiudere asceticamente l’intera sequenza poetica, al di là della sofferenza d’amore portata alla luce dalla corrente del ricordo, il vento di Palme restituisce il tutto a uno stadio atarassico.
Susana P. Di Palma