martedì, Novembre 11, 2025
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La figlia di Aniello Scarpati chiede giustizia: “Papà era un servitore dello Stato, non meritava di morire così”

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“Papà era un uomo perbene, un servitore dello Stato. Chiedo solo giustizia, non vendetta”. Con queste parole, pronunciate con voce ferma ma spezzata dall’emozione, la figlia di Aniello Scarpati, l’agente di polizia ucciso in circostanze ancora oggi controverse, ha voluto rompere il silenzio che per troppo tempo ha avvolto la vicenda del padre. Un omicidio che, a distanza di anni, continua a pesare come un macigno sulla memoria collettiva e sulla coscienza delle istituzioni. Aniello Scarpati era un uomo semplice ma coraggioso, nato e cresciuto in provincia di Napoli, cresciuto con un profondo senso dello Stato e della giustizia. Aveva scelto la divisa non per convenienza ma per vocazione, convinto che la legalità fosse un valore da difendere ogni giorno, anche a costo della vita. Lavorava in un contesto difficile, in un territorio segnato da tensioni, criminalità e silenzi complici. Chi lo conosceva lo descrive come un uomo discreto, rispettoso delle regole, ma pronto a esporsi quando la coscienza lo chiamava in causa. E proprio questa sua integrità, secondo i familiari, potrebbe averlo condannato. Quella sera, la vita di Aniello si è spezzata in un attimo. Un agguato improvviso, una dinamica che ancora oggi lascia più domande che risposte. Gli atti processuali, le perizie, le testimonianze raccolte hanno delineato un quadro frammentato, in cui le versioni si accavallano e le verità sembrano perdersi nei meandri della burocrazia giudiziaria. Da allora, la famiglia Scarpati non ha mai smesso di cercare risposte. La figlia, oggi adulta, ha trasformato il dolore in impegno civile, portando avanti la memoria del padre in scuole, incontri e iniziative pubbliche. “Non cerco colpevoli a tutti i costi – ha dichiarato – ma la verità, quella sì. Perché dietro un’uniforme c’era un padre, un marito, un uomo che credeva in ciò che faceva. Non si può morire due volte: la prima per mano di chi ti uccide, la seconda per l’oblio di chi dimentica”. Le sue parole risuonano forti, in un contesto in cui troppo spesso gli “eroi silenziosi” dello Stato vengono ricordati solo nelle cerimonie ufficiali, ma abbandonati nel tempo alla memoria sbiadita delle cronache. Il caso Scarpati è oggi tornato all’attenzione grazie a una richiesta di riapertura delle indagini, sostenuta dai legali della famiglia e da alcune associazioni antimafia che chiedono di far luce su possibili coperture e omissioni dell’epoca. Secondo alcune fonti, l’agente potrebbe aver scoperto un giro di corruzione interno, legato al traffico di informazioni tra ambienti della criminalità organizzata e apparati deviati dello Stato. Un’ipotesi ancora da verificare ma che, se confermata, aprirebbe scenari inquietanti. A distanza di anni, la figlia di Aniello continua a bussare alle porte delle istituzioni, spesso trovandole chiuse o socchiuse, ma senza mai cedere alla rassegnazione. “Io credo ancora nello Stato per cui papà ha sacrificato la vita – ha detto – ma lo Stato deve dimostrare di meritare quella fiducia, deve farsi trovare accanto a chi è rimasto solo”. In paese, la figura di Scarpati è diventata un simbolo di onestà e coraggio: una strada porta il suo nome, e ogni anno, nel giorno dell’anniversario della morte, amici e colleghi si ritrovano in silenzio, con una corona di fiori e un pensiero rivolto al cielo. Il suo sacrificio, tuttavia, non può restare confinato alla memoria locale. La storia di Aniello Scarpati parla a tutti: è la storia di un’Italia che ha bisogno di ricordare i suoi servitori, non solo quando cadono, ma ogni giorno, nelle scelte, nei gesti, nelle istituzioni che essi hanno servito. Oggi la voce della figlia rompe il muro dell’indifferenza, e lo fa con la forza di chi ha sofferto ma non si è arreso. “Voglio che mio padre sia ricordato per ciò che era: un uomo giusto, un poliziotto fedele, un cittadino che credeva nello Stato. E voglio che chi sa parli, perché il silenzio è il peggior nemico della verità.” Parole che pesano, che chiedono ascolto e azione, perché la giustizia non è solo una sentenza, ma un dovere morale verso chi ha dato tutto per un Paese che non può permettersi di dimenticare.

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