Nel 1974, il fotografo giapponese Masahisa Fukase iniziò un rituale singolare: immortalare ogni mattina la moglie, Yoko Wanibe, mentre usciva dal loro appartamento a Tokyo per andare al lavoro. Scattate dalla stessa finestra, queste immagini sembravano catturare un semplice gesto quotidiano, un saluto carico d’amore e di abitudine. Ma col tempo, dietro l’apparente ripetitività, si rivelò una narrazione più complessa e malinconica.
Fukase, osservatore silenzioso dietro l’obiettivo, non si limitava a documentare il passaggio delle stagioni, il mutare della luce o i cambiamenti negli abiti di Yoko. Ogni scatto sembrava trattenere il momento esatto della separazione, come se l’artista, consapevole della distanza che cresceva tra loro, cercasse disperatamente di fermare il tempo. La sua ossessione per l’allontanamento della moglie, più che un atto di affetto, era il segnale di un’inquietudine più profonda, il sintomo di un legame destinato a spezzarsi.
Infatti, la relazione tra Fukase e Yoko non resse. Il loro matrimonio finì con il divorzio, lasciando il fotografo in una solitudine devastante. Da questo dolore nacque il suo capolavoro, Ravens, una serie di immagini cupe e struggenti che esplorano la perdita e l’isolamento. Yoko, invece, trovò una nuova strada lontano dall’ombra di un uomo che cercava di trattenerla attraverso l’arte. Quelle fotografie mattutine, un tempo simbolo di affetto e presenza, si trasformarono infine nella testimonianza visiva di un amore che, giorno dopo giorno, svaniva nel tempo.