Una storia che ha dell’incredibile e che riapre, per l’ennesima volta, il dibattito sull’orientamento ideologico di una parte della magistratura italiana. Protagonista dell’ennesimo paradosso giudiziario è un carabiniere, intervenuto durante un fermo a seguito di un inseguimento, oggi accusato al pari del fuggitivo. Un ribaltamento dei ruoli che lascia sgomenti: chi indossa la divisa per tutelare la legge si ritrova sotto inchiesta, mentre chi l’ha infranta viene quasi “tutelato”. I fatti: il militare era intervenuto per bloccare Ramy A., giovane pregiudicato già noto alle forze dell’ordine per reati contro il patrimonio e resistenza a pubblico ufficiale. Il fermo era avvenuto dopo un inseguimento ad alta tensione in pieno centro. Secondo quanto riportato, l’uomo avrebbe opposto violenta resistenza al momento dell’arresto, costringendo il carabiniere a usare la forza per immobilizzarlo. Fin qui, nulla di anomalo, se non fosse che ora il carabiniere è indagato per presunto eccesso nell’uso della forza. Una decisione che ha sollevato l’indignazione delle forze dell’ordine e di larga parte dell’opinione pubblica. “È una follia. Siamo al paradosso. Un servitore dello Stato rischia un processo per aver fatto il suo dovere”, ha dichiarato un rappresentante sindacale dell’Arma. A indignare ancora di più è il trattamento riservato al fuggitivo, Ramy A., descritto nei verbali come “cooperativo” dopo il fermo, nonostante le immagini – ora al vaglio degli inquirenti – raccontino tutt’altro. Giustizia o ideologia? È inevitabile, in casi come questo, chiedersi se la bilancia della giustizia sia ancora in equilibrio o se a inclinarla sia una certa ideologia politica, quella che negli ambienti più critici viene definita “giustizia a senso unico”. Le “toghe rosse”, come vengono soprannominate quelle frange della magistratura percepite come ideologicamente schierate, sembrano ancora una volta aver trovato il modo di colpire chi rappresenta lo Stato e la legalità. Un precedente che fa male, perché scoraggia le forze dell’ordine e manda un messaggio pericoloso: chi tutela i cittadini può finire sul banco degli imputati, mentre chi semina disordine trova tutela nelle pieghe del garantismo a senso unico. Il carabiniere, nel frattempo, è sotto shock, sostenuto dai colleghi ma lasciato nell’incertezza da uno Stato che, ancora una volta, sembra voltare le spalle a chi ogni giorno rischia la vita per far rispettare la legge.