Campi Flegrei, Napoli — C’è un respiro sotterraneo che da millenni muove il suolo sotto i nostri piedi. Un ritmo lento e silenzioso, fatto di sollevamenti e sussulti, ma anche di lunghi silenzi in apparenza innocui. Questo è il battito geologico dei Campi Flegrei, una delle caldere vulcaniche più enigmatiche e sorvegliate al mondo. Un nuovo studio rivoluzionario, pubblicato su Science Advances, getta luce su un meccanismo ciclico di “inquietudine geologica” che potrebbe cambiare radicalmente la gestione del rischio in una delle aree più densamente popolate d’Europa.
Una caldera che pulsa nel tempo
Nel cuore della Campania, alle porte di Napoli, si estende un campo vulcanico che più volte nella storia ha dato segnali d’allerta: innalzamenti del suolo, terremoti superficiali, emissioni gassose. Ma ora, grazie a decenni di monitoraggio continuo, esperimenti in laboratorio e un’inedita sinergia tra scienza e tecnologia, gli scienziati sono riusciti a identificare un pattern ricorrente che lega fenomeni in apparenza disgiunti: l’aumento delle piogge, il comportamento delle rocce in profondità e i bradisismi che modellano il territorio.
Il fulcro dello studio? Un serbatoio idrotermale confinato a 2-4 chilometri di profondità, sotto il centro abitato di Pozzuoli, dove si accumulano lentamente acqua e gas, esercitando una pressione crescente sul tappo roccioso che lo sovrasta.
L’acqua che accende il vulcano
Non è lava, ma acqua. Pioggia che si infiltra, scivola tra le rocce, si arricchisce di anidride carbonica e alimenta un sistema chiuso, sigillato da uno spesso strato di materiale piroclastico cementato — il famoso “caprock”. Quest’ultimo, secondo gli esperimenti condotti in condizioni idrotermali simili a quelle reali, non solo sigilla il serbatoio ma si autoripara nel tempo grazie a una microstruttura fibrosa. Un comportamento straordinario, simile a quello del cemento armato, dovuto a reazioni chimiche tra ceneri vulcaniche e fluidi alcalini profondi.
Un sistema geologico “intelligente” che si chiude,
si carica, si deforma… e infine si sfoga.
Sismicità, deformazioni e il ruolo della pressione
L’analisi di oltre vent’anni di dati, comprese le recenti crisi sismiche tra il 2011 e il 2024, mostra una correlazione stretta tra l’accumulo di fluidi nel sottosuolo e l’insorgere di terremoti via via più profondi. La pressione crescente nel serbatoio, incapace di trovare sfogo, riduce lo stress efficace nelle rocce e ne mantiene alta la porosità: un mix esplosivo che, una volta raggiunta la soglia critica, può innescare sequenze sismiche o addirittura esplosioni freatiche, come accaduto nel 1538.
I modelli sperimentali lo confermano: più rapidamente si accumula fluido, più rapidamente si deforma il suolo. E quando il vapore sale, si innesca un effetto domino di fratture e movimenti che ridisegnano la geografia sotterranea.
Un pericolo ciclico, una risposta scientifica
Questo meccanismo ricorrente, ora ben documentato grazie a confronti tra le crisi del 1982–84 e quella attuale, cambia il paradigma della sorveglianza vulcanica: non più episodi isolati da interpretare, ma una storia ciclica da comprendere nel suo insieme. I segnali sono sempre gli stessi: anomalie nei rapporti VP/VS (velocità delle onde sismiche), movimenti del suolo, terremoti superficiali e profondi, seguiti da lunghi periodi di apparente calma.
Ma la vera innovazione non è solo nella diagnosi, bensì nella proposta: ingegneri e geologi suggeriscono di intervenire a monte, intercettando l’acqua che alimenta il serbatoio con sistemi di drenaggio dai pozzi esistenti. Un’idea concreta, realizzabile, che potrebbe ridurre il rischio di esplosioni e alleggerire il peso economico e sociale sulle comunità locali.
Un respiro da ascoltare
I Campi Flegrei non dormono: respirano. E questo studio, pionieristico nel suo approccio integrato, offre finalmente gli strumenti per ascoltare e interpretare questo respiro sotterraneo. Non si tratta di lanciare allarmi, ma di costruire conoscenza per prevenire il peggio. Un invito alla responsabilità scientifica e politica in una terra dove la bellezza convive con la minaccia costante del vulcano.
Perché ignorare i segnali del sottosuolo non è più un’opzione.
I Campi Flegrei, situati nel cuore della Campania, rappresentano una delle aree vulcaniche più studiate e monitorate al mondo. La caldera flegrea, con i suoi fenomeni di bradisismo e attività sismica, è da sempre oggetto di attenzione da parte della comunità scientifica. Recenti studi hanno rivelato nuovi dettagli sulla dinamica di questa caldera, offrendo spunti per una comprensione più approfondita dei suoi meccanismi interni.
Un pattern ricorrente di attività
Analizzando i dati relativi agli episodi di sollevamento del suolo e sismicità registrati tra il 2005 e il 2024, è emerso un pattern ricorrente che suggerisce l’esistenza di un meccanismo ciclico alla base dell’attività della caldera. Questi episodi si caratterizzano per un accumulo progressivo di strain, seguito da un rilascio improvviso di energia sismica.
Il ruolo dell’acqua e della pressione
Un aspetto cruciale emerso dallo studio riguarda l’influenza dell’acqua nel sottosuolo. L’infiltrazione di acque meteoriche nel sistema idrotermale della caldera contribuisce all’aumento della pressione nei serbatoi sotterranei. Questo incremento di pressione può portare alla fratturazione delle rocce e all’attivazione di eventi sismici.
Anomalie geodetiche e sismicità
L’analisi delle deformazioni del suolo ha evidenziato la presenza di anomalie geodetiche, in particolare nell’area del Monte Olibano. Queste anomalie sono correlate a un aumento della sismicità e potrebbero indicare la presenza di zone di debolezza nella crosta terrestre, suscettibili a fratturazioni e movimenti.
Prospettive future
La comprensione dei meccanismi alla base dell’attività dei Campi Flegrei è fondamentale per una gestione efficace del rischio vulcanico. L’integrazione di dati geofisici, geodetici e idrotermali offre una visione più completa e dettagliata dei processi in atto. Continueranno gli studi per monitorare l’evoluzione della caldera e per sviluppare strategie di prevenzione e mitigazione dei rischi associati.
Ascoltare la Terra: un Dovere Collettivo
I Campi Flegrei non sono solo un affascinante laboratorio naturale a cielo aperto, ma un cuore pulsante sotto i nostri piedi, la cui voce — fatta di sussulti, silenzi e respiri profondi — troppo spesso viene ignorata. Da giornalista , ma prima ancora da cittadina, non posso che esprimere una profonda ammirazione per lo studio recentemente pubblicato su Science Advances, che getta finalmente luce su uno dei meccanismi più misteriosi e pericolosi del nostro territorio.
Siamo abituati a pensare al rischio vulcanico come a qualcosa di improvviso, catastrofico, ma relegato all’imprevedibilità. Questo lavoro scientifico ci insegna invece che la prevedibilità è possibile, se si ha la pazienza di leggere i segnali, il coraggio di interpretare i dati e la volontà di agire.
Quello che emerge è un quadro inquietante, sì, ma anche chiaramente interpretabile: il serbatoio idrotermale sotto la caldera si comporta come un contenitore sotto pressione, alimentato da processi naturali come la pioggia e la circolazione di gas profondi. Non è fantascienza, è fisica, chimica, geologia applicata — ed è scienza al servizio della sicurezza pubblica.
La vera domanda ora è: cosa aspettiamo? Perché, mentre la comunità scientifica fornisce risposte concrete e propone soluzioni tecniche già attuabili, la politica tace o si muove con lentezza. Intercettare le acque di falda prima che raggiungano il serbatoio non è solo una proposta ingegneristica, è una forma di prevenzione civile. In un Paese spesso segnato da tragedie annunciate, non possiamo permetterci l’ennesima occasione sprecata.
I Campi Flegrei ci stanno parlando. La scienza ci sta traducendo la loro voce. Ora tocca a noi ascoltare, capire e soprattutto agire. Prima che sia il vulcano a farlo per noi.
Photography by researchgate