ROMA – In un’Italia sempre più attraversata da tensioni verbali che superano i limiti del civile confronto politico, c’è un episodio che scuote la coscienza collettiva e chiama in causa la responsabilità morale di tutti: un messaggio carico d’odio, pubblicato sui social da un presunto dipendente del Ministero dell’Istruzione e del Merito, ha preso di mira Ginevra, la figlia di appena sette anni della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni.Un commento raccapricciante, capace di gelare il sangue: “Auguro alla figlia della Meloni la sorte della ragazza di Afragola”. Una frase che richiama il tragico destino di Martina Carbonaro, la 14enne brutalmente uccisa a colpi di pietra e sepolta viva tra i rifiuti. Parole che non solo evocano l’orrore di un crimine efferato, ma lo accostano con inquietante leggerezza al destino di una bambina innocente, simbolo di un’aggressione che va oltre la politica, oltre ogni umano confine. A denunciare pubblicamente il post è stato Galeazzo Bignami, capogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera. La reazione del partito è immediata: “Tutto questo, oltreché spaventoso, è inaccettabile”. Il messaggio, rilanciato anche sull’account ufficiale X di Fratelli d’Italia, evidenzia il crescente degrado del dibattito pubblico, in cui l’odio diventa arma e i bambini bersaglio. Ma non è solo una questione di linguaggio violento: è una ferita al cuore stesso della nostra democrazia, quella che dovrebbe proteggere i più fragili, i minori, dalla brutalità degli adulti e da derive che hanno ormai assunto contorni inquietanti. “Esistono confini che non devono essere superati mai”, scrive la stessa premier Meloni, intervenendo con dolore e fermezza sui propri canali social.
In un clima politico già teso, questo episodio rappresenta un drammatico punto di non ritorno. La critica legittima si trasforma in odio puro, e l’odio, quando investe anche chi non ha voce per difendersi, diventa un pericolo per l’intera società. “La critica politica è una cosa, ma l’odio umano e ancor più verso i bambini non può avere diritto di cittadinanza”, sottolineano da più fronti istituzionali, tra cui la Regione Lazio, che ha espresso piena solidarietà alla premier e a sua figlia. Siamo davanti a un campanello d’allarme che non può essere ignorato. Non è solo Giorgia Meloni ad essere colpita: è l’etica del dibattito pubblico, è la sicurezza emotiva delle famiglie, è il valore della convivenza civile. È il futuro stesso che vogliamo costruire per le prossime generazioni. In questo scenario cupo, servono parole responsabili, gesti chiari, prese di posizione nette. Perché quando l’odio prende il sopravvento sulla ragione, la società intera rischia di smarrire la propria umanità.
Quando l’odio diventa linguaggio, la società ha perso la bussola
C’è un punto oltre il quale il dissenso non è più legittima critica, ma deriva pericolosa. Ed è quel punto che, in queste ore, è stato tragicamente superato. Il post che augura a Ginevra Meloni, una bambina di soli sette anni, lo stesso destino atroce della giovane Martina Carbonaro non è soltanto un messaggio carico d’odio: è un atto disumano, vile, e profondamente inquietante. Da giornalista, da cittadina, da donna, sento il dovere di dire che questo non è più “dibattito politico”, non è nemmeno “provocazione”. È barbarie. È un segnale allarmante di quanto il clima sociale si sia avvelenato, e di come i social, usati senza etica né controllo, possano diventare strumenti di devastazione morale. Chi colpisce un bambino, anche solo con le parole, non compie un gesto politico. Compie un gesto codardo. E chi lo fa ricoprendo un incarico pubblico come sembrerebbe in questo caso tradisce la fiducia delle istituzioni che rappresenta. L’indignazione non basta più. Occorre un’assunzione collettiva di responsabilità. I social non possono essere terra di nessuno dove si seminano rancore e disprezzo senza pagarne le conseguenze. E non è una questione di parte. Chi oggi odia Ginevra perché è la figlia della premier, domani odierà un altro figlio perché è di un’altra parte politica. L’odio non ha colore: è veleno puro, che corrompe tutto ciò che tocca. Oltretutto una persona che un ricopre incarico pubblico dovrebbe essere da esempio. Purtroppo si pensa sempre è solo alle abilitazioni da acquistare, dei punnteggi da accumulare e dai titoli da acquistare, ma non si pensa all’ adeguatezza psicologica del professionista, che invece dovrebbe essere anzitutto da modello educativo, in secondo luogo sa esdempio formativo.
Serve una riflessione seria, profonda. Serve ricordare che il dissenso si esprime con le idee, non con gli insulti. Che la libertà di parola non è libertà di calpestare l’altro. E soprattutto, serve ristabilire un principio basilare: i figli devono restare fuori da ogni scontro. Sempre. Ovunque. Chiunque siano. Chi tocca i bambini per colpire i genitori ha già perso. Umanamente, civilmente, moralmente. E noi tutti noi dobbiamo decidere da che parte stare: se continuare a tacere, oppure alzare la voce contro un odio che non ha più giustificazioni. Io la mia voce la alzo. Per Ginevra. Per Martina. Per tutte le vittime di un linguaggio che uccide prima con le parole, poi troppo spesso con i fatti.
#MaiPiùOdio #DifendiamoLInnocenza
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