Complice la magica atmosfera del Teatro Grande del Parco Archeologico di Pompei, sotto lo sguardo di un pubblico attento e interessato, è andata in scena “Fedra – Ippolito portatore di corona” di Euripide nella traduzione di Nicola Crocetti, con la regia dello scozzese Paul Curran, Questa storia senza tempo fa luce sulle ansie contemporanee legate alla salute mentale e sui pericoli di ossessioni malsane e incontrollabili, per non parlare delle conseguenze delle reazioni emotivamente cieche. Esplorando la connessione tra mitologia antica e psicologia moderna, la storia di Fedra diventa uno specchio che riflette l’intricata relazione tra il nostro io interiore e le forze esterne che modellano le nostre azioni. Tutto parte da uno scontro tra dee, quella dell’amore, Afrodite, apre la tragedia,
mettendo in essere tutta la sua sensualità e il suo fascino, e quella della caccia, Artemide, che la conclude con un grido di dolore. Fedra viene accecata da una passione amorosa, assoluta, divorante per il figliastro, Ippolito, si consuma, soffre, non ragiona più, sa che è una situazione impossibile e allora si impicca, lasciando uno scritto in cui accusa il figliastro di stupro. Il marito, Teseo, provoca allora la morte di Ippolito, riabilitato in punto di morte dalla stessa Artemide. Un’enorme testa di donna domina al centro della scena, una testa che si illumina, si apre, proietta immagini ed è parte integrante della trama e dell’azione. Da un lato la disperazione, l’amore
struggente non corrisposto di Fedra per Ippolito che porta alla vendetta, all’odio e al disprezzo, dall’altro la fierezza della propria castità e la sfrontatezza di Ippolito, che ignora Afrodite a favore di Artemide e che alla fine del dramma perdona il padre per quello che ha fatto. Un testo dalle emozioni forti, cupe, introspettivo, che indaga le più intime emozioni umane. Il regista scozzese non si
discosta molto dall’originale euripideo, che, tra l’altro, era profondamente misogino, come si evince dal monologo di Teseo contro le donne, si mantiene anche la funzione catartica, tipica del teatro greco, ma, in alcuni momenti ha osato troppo minando la concentrazione, come i canti e i balli da musical all’inizio, i colori di alcuni abiti molto accesi, l’utilizzo della pistola e la presenza in scena di personaggi attuali a dimostrazione che la vicenda di Fedra è ancora attuale, basti pensare a quanti danni tuttora fa l’ossessione amorosa. Ben affiatata la compagnia, molto brave e ben calate nella parte Alessandra Salamida, Fedra e Gaia Aprea la Nutrice ricca di pathos e di disperazione, straordinario Riccardo
Livermore che fa Ippolito che abbina all’intensa recitazione un notevole sforzo fisico. Completano il cast Ilaria Genatiempo Afrodite, Sergio Mancinelli, un servo, Alessandro Albertin Teseo, Marcello Gravina il Messaggero, Giovanna Di Rauso Artemide, le Corifee Simonetta Cartia, Giada Lorusso, Elena Polic Greco, Maria Grazia Solano, il Coro di donne di Trezene Valentina Corrao, Aurora Miriam Scala, Maddalena Serratore, Giulia Valentin, Alba Sofia Vella.