Un altro agguato a Ponticelli, un altro ragazzo ferito, un’altra giornata di ordinaria follia in una delle zone più calde della periferia est di Napoli. È accaduto nel pomeriggio di ieri: un giovane di 24 anni è stato raggiunto da diversi colpi d’arma da fuoco mentre si trovava in via Argine, arteria nevralgica del quartiere, non lontano dalle palazzine sotto l’influenza storica del clan De Micco. Il ragazzo è stato soccorso e trasportato all’ospedale del Mare, dove è tuttora ricoverato in condizioni serie ma non in pericolo di vita. Sul suo corpo, i medici hanno riscontrato ferite da arma da fuoco alle gambe e a una spalla.
Ancora una volta, le strade di Ponticelli si trasformano in un campo di battaglia dove a sparare non sono soldati ma criminali, spesso giovanissimi, con in mano pistole come fossero giocattoli. Un’aggressione violenta, in pieno giorno, che ha gettato nel panico i residenti e riportato al centro del dibattito la fragilissima tenuta della sicurezza in un territorio storicamente segnato da guerre tra clan e vendette trasversali.
Secondo le prime ricostruzioni degli investigatori, il ferimento del 24enne potrebbe essere collegato a tensioni recenti tra gruppi criminali locali, riaccese dopo la scarcerazione di un elemento di spicco del clan De Micco, meglio conosciuti nel quartiere come i “Bodo”. Una scarcerazione che fa discutere, perché avviene in un momento di altissima tensione, in cui ogni ritorno “eccellente” sul territorio rappresenta un segnale chiaro, quasi un proclama: il clan è ancora vivo, pronto a riprendersi il controllo del territorio.
Ed è proprio questa l’assurdità che fa più male. In un quartiere che fatica a respirare normalità, dove le famiglie oneste convivono con l’ombra perenne della criminalità organizzata, la notizia della scarcerazione di un nome pesante del clan ha il sapore della beffa. Un ritorno che equivale a un messaggio di forza, e che rischia di far precipitare Ponticelli in un nuovo capitolo di guerra, come già avvenuto in passato tra i De Micco e i De Luca Bossa.
Ponticelli non è solo un nome sulla mappa: è un quartiere con una storia complessa, segnato da decenni di abbandono, degrado sociale, disoccupazione, edilizia popolare dimenticata, famiglie lasciate sole a combattere contro la seduzione di un sistema criminale che promette soldi facili, rispetto e un’apparente via d’uscita da una vita di stenti. In questo contesto, i clan si rigenerano, si riorganizzano, e spesso si rafforzano proprio quando lo Stato arretra, quando le istituzioni sembrano incapaci di offrire alternative credibili.
L’agguato al 24enne non è solo un fatto di cronaca. È l’ennesimo sintomo di un quartiere che vive sotto assedio, dove ogni giorno può essere quello giusto per una vendetta, una stesa, una nuova ferita che si aggiunge a quelle mai rimarginate. È il riflesso di una giustizia che a volte appare sorda al grido delle periferie, dove le scarcerazioni eccellenti pesano più delle sentenze.
Ora spetterà alle forze dell’ordine fare luce sull’accaduto. Le indagini sono in corso, e gli inquirenti stanno cercando collegamenti tra il ferimento e i recenti movimenti all’interno del panorama criminale del quartiere. Ma mentre la giustizia fa il suo corso, i cittadini di Ponticelli restano prigionieri di un sistema che sembra destinato a ripetersi. Un circolo vizioso in cui la criminalità detta legge e lo Stato, troppo spesso, arriva tardi.
Ponticelli ha bisogno di tutto, tranne che di nuove guerre tra bande. Ha bisogno di lavoro, di scuole che funzionano, di presidi culturali, di alternative reali per i giovani che oggi hanno davanti due sole strade: o la marginalità o la criminalità. E finché non si avrà il coraggio politico di intervenire in profondità, con progetti seri e a lungo termine, continueremo a scrivere articoli come questo. Articoli pieni di rabbia, impotenza e assurdità.