VVenerdì pomeriggio, sotto il cielo cupo e carico di tensione di una città che non smette di chiedere giustizia, si è svolta a Napoli l’assemblea-dibattito pubblico “Napoli dice STOP alla camorra”. Una manifestazione partecipata, intensa, viva. Un momento di confronto collettivo in cui attivisti, giornalisti, associazioni, ex detenuti, cittadini e studenti si sono riuniti non per una cerimonia vuota, ma per gridare con coraggio che la camorra non è invincibile, e che il silenzio non può essere più tollerato.
A prendere la parola sono stati esponenti di spicco del mondo dell’impegno civile, tra cui Luigi de Magistris, già sindaco di Napoli e oggi voce scomoda e lucida nel panorama politico, la giornalista Luciana Esposito, minacciata dai clan di Ponticelli per i suoi articoli di denuncia, Antonio Maldestro., Gigi Lista e rappresentanti del Sindacato Unitario Giornalisti della Campania (SUGC), dell’associazione “Giustizia per Mario Paciolla”, dell’ANPI Napoli Est, delle ACLI, del movimento “Verità e giustizia per Ugo Russo” e dell’associazione “Niente Camorra Oggi”, fondata da Don Salvatore Saggiomo e da Gennaro Panzuto, ex boss della camorra convertito e oggi attivista per la legalità.
È stato un evento carico di emozione e denuncia, in cui le parole sono state pietre, scagliate contro un muro di complicità e indifferenza che sembra ancora proteggere i poteri criminali in troppi quartieri della città.
Tra gli interventi più forti e drammatici, quello della giornalista Luciana Esposito, cronista coraggiosa e attenta, fondatrice del giornale online . Da mesi è oggetto di minacce pesanti da parte dei clan di Ponticelli, in particolare dei Di Micco e dei De Martino, che dominano il quartiere orientale di Napoli con violenza e arroganza. Luciana ha raccontato in pubblico, con la voce ferma e lo sguardo pieno di dolore e determinazione, l’isolamento che vive quotidianamente. «Non ho una scorta, non ho protezione. Nonostante le minacce documentate, lo Stato mi ha lasciata sola. Mi chiedono di tacere, ma io continuerò a scrivere, anche se ho paura. Perché la paura non può vincere».
Le sue parole hanno scosso la platea. Ed è stato impossibile non collegare la sua testimonianza con il paradosso giudiziario che in questi giorni ha indignato l’opinione pubblica: la scarcerazione di alcuni esponenti del clan Di Micco, ritenuti responsabili di violenze e traffico di droga. Mentre chi denuncia viene lasciato solo, chi terrorizza viene rimesso in libertà. È lo scandalo di uno Stato che a tratti sembra più attento alle forme che alla sostanza, più timoroso di sbagliare con i boss che desideroso di proteggere chi lotta per la verità.
I clan di Ponticelli, più che semplici organizzazioni criminali, sono oggi veri e propri sistemi di potere territoriale. I Di Micco, noti come i “Bodo”, sono emersi negli ultimi quindici anni come una delle cosche più violente e determinanti dell’area orientale. Nati dalle ceneri del clan Sarno, hanno imposto il loro dominio con una strategia brutale fatta di stese, omicidi e intimidazioni. In particolare, hanno preso possesso di interi isolati delle case popolari, imponendo il pizzo e gestendo in modo capillare il mercato della droga.
Accanto a loro, spesso in conflitto ma anche in alleanze tattiche, operano i De Martino e i De Luca Bossa. Clan che, insieme, formano una sorta di triade del terrore che tiene in ostaggio migliaia di famiglie tra Ponticelli, Barra e San Giovanni. Le scuole, le chiese, i presidi sanitari convivono con questa presenza costante. E chi alza la voce, come Luciana Esposito, diventa un bersaglio.
Momento di grande commozione quello dell’intervento di Gennaro Panzuto. Ex boss di una delle famiglia camorristica attiva a Napoli ex collaboratore di giustizia e testimone della possibilità di rinascita. Oggi uomo libero «Io ho vissuto nel buio – ha detto – e so cosa significa vivere con il potere della paura. Ma ho anche scoperto la luce. Oggi sono qui per dire che si può cambiare. Si può lasciare la camorra. Ma bisogna avere il coraggio di essere soli, almeno per un po’. E la società deve essere pronta ad accogliere chi fa questo passo».
Le sue parole sono state accolte da un lungo applauso. Panzuto, con il suo percorso di conversione e impegno, è oggi uno dei simboli di una lotta alla camorra che passa anche per la trasformazione personale, per la restituzione della propria storia alla collettività.
L’assemblea di venerdì non è stato un semplice evento, ma un segnale potente. Napoli non è piegata. Le sue periferie non sono condannate. Ma serve una presenza forte e continua delle istituzioni, della magistratura, della scuola, del mondo dell’informazione. Serve proteggere chi racconta, chi denuncia, chi ci mette la faccia.
Serve dire che la camorra non è folklore, non è romanzo. È morte, silenzio, ricatto. Ma può essere combattuta. A patto che lo Stato non si giri dall’altra parte. A patto che chi governa scelga finalmente da che parte stare.
A Ponticelli, a Napoli, ovunque.