POESIE DI FRANCESCO DI ROCCO
Ora
… è il respiro ondeggiato
dell’attimo vestito
del nulla senza tempo
mentre camminiamo
tra vuoti antichi e altro
che siamo noi
poiché questo
è il paese del sogno velato di navi
al suono incessante di acque siderali
che recano
inesprimibili silenzi
e sensuali spazi angolari
Triste forse no , nave arenata
nessun capitano la rimetterà in mare
Né mille nocchieri la vorranno
ma la sabbia è la distanza
che si genera tra paura
e quello che mai sapremo
nel piccolo spazio angusto
… è la vita e noi
che ci nascondiamo a Lei.
Melodia impazzita
e lacera di vesti intessute di giorni
e parole buttate
dalle tenebre mentre ti disseti
di invisibili ombre del nostro sapere
e siamo notte e siamo giorno
e nulla è più lontano del nostro essere vicini.
Sono io il paese colorato dove salpano navi
sei tu il prato trasparente
dove riposa il mio sguardo
e piove luminosa la cadenza abissale
della nostra pazzia disordinata di flauti.
Ma noi, figli bastardi di archi
Tesi nel vento siderale
che si moltiplica sui nostri volti
e nelle luci segrete di parole, figlie
e madri di immensità vitale della morte.
Poi rinascere nel vortice indelicato del sangue
passionale e la carne che brucia negli abbracci.
Francesco Di Rocco
Penombre
Evanescente cromatismo notturno
mistero delle due strade
portano all’inesplorato deserto
quando esistere è figlio bastardo
della morte.
Una radura beffarda aspetta
il giro ultimo delle parole.
Sgangherato pagliaccio
è questo tempo
sull’unica corda tesa
tra il nascere e il morire
e al far del tramonto
incoscienti sono le rondini
attimo velate di voli passati
Il gusto ingannevole del veleno
si nasconde nella bottiglia
di vino rosso.
Cinerea la galassia soffia nel vento
che ombreggia sui capelli tuoi
agonia della luce nel nome del sangue.
Allora sarò io il tuo mattino a notte fonda
Sarai tu la mia alba quando sentirò
l’odore del tramonto.
Sarai tu la mia voce quando il silenzio verrà
Sarò allora io il sibilo che ti porterà il canto
dei pettirossi.
Sarà l’azzurro rincorrersi di enigmatiche ali
e mormorii incastonati nelle tempeste
ormeggiate nella malinconia
che silente baia s’ infiamma di sguardi
che raccontano l’unica storia
-come arpeggi stonati ormai fuori tempo-
dovuta ai viandanti di memorie
vermiglie.
Al finir del crepuscolo solo l’acqua
compie il suo cerchio vitale
nel fuoco irrequieto e scomposto
degli unici amanti indemoniati
E’ il luogo lontano che cambia volto
nell’attesa dei monti a luce porporina
che contorce l’ombra spettrale
tra le tempeste.
Francesco Di Rocco
FOLGORE DI ZEUS
Allora riprenderò il fuoco antico
brinderò nei bicchieri fumanti
delle prime albe
quando la primavera abita solitari orizzonti
Come nube nel canto irretito dell’ombra.
E la sorte traversa la riva inquieta
nel rimbombo del ruscello
nell’istante della bufera
fu il vento il primo amore.
Ah, imperfetto groviglio
di sabbie vagabonde
dove riposa il rosso della spuma
vibrante di tempeste e cornici siderali.
Dea bastarda è la mia pelle
rifugio di sempre
Quando albeggiano sogni di cristallo.
Primo allora sarà il passo sperduto
Che dove mai oseranno
le sorgenti del declino poi domani
guerrieri invincibili.
Allora melodioso sorgerà un altro caos
Che farà di noi le parole mai dette.
Pallido fantasma muore
dentro la luna colorata di spirali
e di oscura gravità
nascosto nei meandri dello sguardo
quando il coro delle onde avrà scavato
l’impeto celeste.
Sarà la lingua di un tempo
riflesso negli anelli di Saturno
Cenere avida di cronologie
e ritratti serbati nella voce
quando finirà il mondo
dietre finestre dormienti
–allora verrà da ridere
a invocare tutto gli dei inventati !-
–Non ancora venuto al mondo
era il passato che lo specchio
impenitente sputava nel fango-
E mai crederemo al vento del bosco
e il sonno dei villaggi
Noi passanti dimentichi del ritmo
stagionale della memoria
nell’inutile gorgoglio dei mari.
Non siamo più il pensiero
che dall’orizzonte anelava
lucciole e al triangolo dell’estate.
Nella saggezza remota degli occhi
Eppure siamo noi stazione
e treno e partiamo
per non andare più via
sebbene le attese siano grida d’addio
soffiate nei ruderi
degli abissi mascherati da miraggi
Francesco Di Rocco
A Mano sinistra
Mentre la luna racconta di noi
Della nobiltà dei peccati
Nei silenti nascondigli
intessuti di collane per sfuggire
alle tetre figure
di ritmati destini
per ore e ore
tra squarci bianchi
di nubi vermiglie
gemmate di brina
e intrecci di pioggia
e di verdi deserti
rivestirò le mie notti
incerte, mai narrate
seppur dissolte nell’oblio
argentato.
Ora voce d’aurora
attraversa i declivi
dell’eco del vento solare
Troverai altre labbra
nelle notti di aurora
boreale.
Giro bizzarro tornerai.
Ci avvolgerai
di irruento palpitare
e burrascoso sangue.
Sarà turbolento
il sensuoso toccarsi
tremante di voluttà.
Siamo noi, allora
-è stato scritto nel battito di ciglia-
Il fondo del ruscello!
Impariamo l’impeto dell’acqua!
Tra palpebre imbiancate
e pupille istoriate
di vecchi respiri e torpori.
Avremo lasciato
squarci rossi di nudità
agli arpeggi marini.
Racconta, dunque quale fulgore
reca la traccia dei pianeti
oggi che siamo spirali
clamanti di ombre gotiche
e sibilanti orme
di rami
e ruggito dei tuoni a distanza.
Segrete passioni nell’armonia del fuoco.
Il pensiero è umida cadenza solare
nel luogo segreto della brevità
delle colonne d’ambra
dove mai finiranno gli echi delle arpe.
Questo noi siamo
-lo leggevi nel mio sguardo-
– Lo capivo dal tuo essermi accanto!-
Noi unica eresia
A frantumare smemorate città.
Siamo la tirannia
dei sensi la più violenta
più intricata di infinite foreste.
Siamo noi iridescente meraviglia
dell’occhio del condor
e le curve eleganti delle sue ali
Siamo noi l’unico messaggio
che riecheggiatra cime innevate
e abissi silenziosi
dunque, ecco di noi
il selvaggio disegno
inciso sulla roccia
della nostra maschera
intrisa di penombre
spirali verdazzurre
a recare le nostre parole
strano quel Pegaso irreale
che partorì nidi stellari
e tenue luci
nel mondo dei fanciulli
di plastica e cristallo
che giocano a vivere
e morire di mercato
gli uominidel tempo lontano
hanno forma di quercia
e spade avoriate.
Lucida nudità d’argento
nutrirà valli e giunchi
sarà ombra e vascelli infuocati
lasciati nei vicoli pietrosi
quando generiamo
nulla nel ripetere
le annoiate metamorfosi
di sempre.
Penombra boreale
cibitormentati di ritmi
e la libertà è il girotondo disordinato
del vortice che trasforma sangue
e la mente è l’alba che si rigenera
al vibrar della parola.
Raccontiamo un paese
mai pensato , l’unico che davvero
sa di noi seppur nella primavera
più breve nell’infinito roteare
di aurore siderali.
E narriamo…storie mai esistite
incompiute stagioni
dormienti nei solchi d’acqua
figli immemori
di impolverate nebulose
che accendono gli occhi tuoi
e aggraziati i germogli
dell’ultimo anello di Saturno.
Proprio domani.
Quando avrai posato il capo
dormendo
nella vibrazione sconfinata
della notte.
Non ancora pensata.
Sassi nel deserto noi siamo
inamovibili e beffardi
negli intrecci circolari
del ritornare al mondo
e abitare passi contorti
sassi sbriciolati
nelle tempeste solari
da raccontare a forma d’amore
nel caos mai generato
nelle mani
vibranti di voli al crepuscolo.
Sassi brulicanti di alba
avidi della violenza di vivere
come a dispetto
al più idiota degli dei
quelli che ridono degli uomini.
Ecco, sassi.
Questo e null’altro
posso donarti
in questa strana silenziosa
serata di maggio gravida di violino
e pianoforte a mano sinistra.
Francesco Di Rocco