domenica, Marzo 16, 2025

POESIE DI FRANCESCO DI ROCCO

Test123
Test456

POESIE DI FRANCESCO DI ROCCO

 

Ora

… è il respiro ondeggiato

dell’attimo vestito

del nulla senza tempo

mentre camminiamo

tra vuoti antichi e altro  

che siamo noi

poiché questo

è il paese del sogno velato di navi

al suono incessante di acque siderali

che recano

inesprimibili silenzi

e sensuali spazi angolari

Triste forse no ,  nave arenata

nessun capitano la rimetterà in mare

Né mille nocchieri la vorranno

ma la sabbia è la distanza

che si genera tra paura

e quello che mai sapremo

nel piccolo spazio angusto

… è la vita e noi

che ci nascondiamo a Lei.

Melodia impazzita

e lacera di vesti intessute di giorni

e parole buttate

dalle tenebre mentre ti disseti

di invisibili ombre del nostro sapere

e siamo notte e siamo giorno

e nulla è più lontano del nostro essere vicini.

Sono io il paese colorato dove salpano navi

sei tu il prato trasparente

dove riposa il mio sguardo

e piove luminosa la cadenza abissale

della nostra pazzia disordinata di flauti.

Ma noi, figli bastardi di archi

Tesi nel vento siderale

che si moltiplica sui nostri volti

 e nelle luci segrete di parole, figlie

e madri di immensità vitale della morte.

Poi rinascere nel vortice indelicato del sangue

passionale e la carne che brucia negli abbracci.

Francesco Di Rocco

 

Penombre

Evanescente cromatismo notturno

mistero delle due strade

portano all’inesplorato deserto

quando esistere è figlio bastardo

della morte.

Una radura beffarda aspetta

il giro ultimo delle parole.

Sgangherato pagliaccio

è questo tempo

sull’unica corda tesa

tra il nascere e il morire

e al far del tramonto

incoscienti sono le rondini

attimo velate di voli passati

Il  gusto ingannevole del veleno

si nasconde nella bottiglia

di vino rosso.

Cinerea la galassia soffia nel vento

che ombreggia sui capelli tuoi

agonia della luce nel nome del sangue.

Allora sarò io il tuo mattino a notte fonda

Sarai tu la mia alba quando sentirò

l’odore del tramonto.

Sarai tu la mia voce quando il silenzio verrà

Sarò allora io il sibilo che ti porterà il canto

dei pettirossi.

Sarà l’azzurro rincorrersi di enigmatiche ali

e mormorii incastonati nelle tempeste

ormeggiate nella malinconia

che silente baia s’ infiamma di sguardi

che raccontano l’unica storia

-come arpeggi stonati ormai fuori tempo-

dovuta ai viandanti  di memorie

vermiglie.

Al  finir del crepuscolo solo l’acqua

compie il suo cerchio vitale

nel fuoco irrequieto e scomposto

degli unici amanti indemoniati

E’ il luogo lontano che cambia volto

nell’attesa dei monti a luce porporina

che contorce l’ombra spettrale

tra le tempeste.

Francesco Di Rocco

 

 

FOLGORE DI ZEUS

Allora riprenderò il fuoco antico

brinderò nei bicchieri fumanti

delle prime albe

quando la primavera abita solitari orizzonti

Come nube nel canto irretito dell’ombra.

E la sorte traversa la riva inquieta

nel rimbombo del ruscello

nell’istante della bufera

fu il vento il primo amore.

Ah, imperfetto groviglio

di sabbie vagabonde

dove riposa il rosso della spuma

vibrante di tempeste e cornici siderali.

Dea bastarda è la mia pelle

rifugio di sempre

Quando albeggiano sogni di cristallo.

Primo allora sarà il passo sperduto

Che dove mai oseranno

 le sorgenti del declino poi domani

guerrieri invincibili.

Allora melodioso sorgerà un altro caos

Che farà di noi le parole mai dette.

 

Pallido fantasma muore

dentro la luna colorata di spirali

e di oscura gravità

nascosto nei meandri dello sguardo

quando il coro delle onde avrà scavato

l’impeto celeste.

Sarà la lingua di un tempo

riflesso negli anelli di Saturno

Cenere avida di cronologie

e ritratti serbati nella voce

quando finirà il mondo

dietre finestre dormienti

allora verrà da ridere

a invocare tutto gli dei inventati !-

 

Non ancora venuto  al mondo

era il passato che lo specchio

impenitente sputava nel fango-

E mai crederemo al vento del bosco

 e il sonno dei villaggi

Noi passanti dimentichi del ritmo

stagionale della memoria

nell’inutile gorgoglio dei mari.

Non siamo più il pensiero

che dall’orizzonte anelava

lucciole e al triangolo dell’estate.

Nella saggezza remota degli occhi

 Eppure siamo noi stazione

e treno e partiamo

per non andare più via

sebbene le attese siano grida d’addio

soffiate nei ruderi

degli abissi mascherati da miraggi

Francesco Di Rocco

 

A Mano sinistra
Mentre la luna racconta di noi
Della nobiltà dei peccati
Nei silenti nascondigli
intessuti di collane per sfuggire
alle tetre figure
di ritmati destini
per ore e ore
tra squarci bianchi
di nubi vermiglie
gemmate di brina
e intrecci di pioggia
e di verdi deserti
rivestirò le mie notti
incerte, mai narrate
seppur dissolte nell’oblio
argentato.
Ora voce d’aurora
attraversa i declivi
dell’eco del vento solare

Troverai altre labbra
nelle notti di aurora
boreale.

Giro bizzarro tornerai.
Ci avvolgerai
di irruento palpitare
e burrascoso sangue.
Sarà turbolento
il sensuoso toccarsi
tremante di voluttà.

Siamo noi, allora
-è stato scritto nel battito di ciglia-

Il fondo del ruscello!
Impariamo l’impeto dell’acqua!
Tra palpebre imbiancate
e pupille istoriate
di vecchi respiri e torpori.

Avremo lasciato
squarci rossi di nudità
agli arpeggi marini.
Racconta, dunque quale fulgore
reca la traccia dei pianeti
oggi che siamo spirali
clamanti di ombre gotiche
e sibilanti orme
di rami
e ruggito dei tuoni a distanza.
Segrete passioni nell’armonia del fuoco.

Il pensiero è umida cadenza solare
nel luogo segreto della brevità
delle colonne d’ambra
dove mai finiranno gli echi delle arpe.

Questo noi siamo
-lo leggevi nel mio sguardo-
– Lo capivo dal tuo essermi accanto!-

Noi unica eresia
A frantumare smemorate città.
Siamo la tirannia
dei sensi la più violenta
più intricata di infinite foreste.

Siamo noi iridescente meraviglia
dell’occhio del condor
e le curve eleganti delle sue ali

Siamo noi l’unico messaggio
che riecheggiatra cime innevate
e abissi silenziosi

dunque, ecco di noi
il selvaggio disegno
inciso sulla roccia
della nostra maschera
intrisa di penombre
spirali verdazzurre
a recare le nostre parole

strano quel Pegaso irreale
che partorì nidi stellari
e tenue luci
nel mondo dei fanciulli
di plastica e cristallo
che giocano a vivere
e morire di mercato
gli uominidel tempo lontano
hanno forma di quercia
e spade avoriate.

Lucida nudità d’argento
nutrirà valli e giunchi
sarà ombra e vascelli infuocati
lasciati nei vicoli pietrosi
quando generiamo
nulla nel ripetere
le annoiate metamorfosi
di sempre.

Penombra boreale
cibitormentati di ritmi
e la libertà è il girotondo disordinato
del vortice che trasforma sangue
e la mente è l’alba che si rigenera
al vibrar della parola.

Raccontiamo un paese
mai pensato , l’unico che davvero
sa di noi seppur nella primavera
più breve nell’infinito roteare
di aurore siderali.

E narriamo…storie mai esistite
incompiute stagioni
dormienti nei solchi d’acqua
figli immemori
di impolverate nebulose
che accendono gli occhi tuoi
e aggraziati i germogli
dell’ultimo anello di Saturno.
Proprio domani.
Quando avrai posato il capo
dormendo
nella vibrazione sconfinata
della notte.
Non ancora pensata.

Sassi nel deserto noi siamo
inamovibili e beffardi
negli intrecci circolari
del ritornare al mondo
e abitare passi contorti
sassi sbriciolati
nelle tempeste solari
da raccontare a forma d’amore
nel caos mai generato
nelle mani
vibranti di voli al crepuscolo.
Sassi brulicanti di alba
avidi della violenza di vivere
come a dispetto
al più idiota degli dei
quelli che ridono degli uomini.

Ecco, sassi.
Questo e null’altro
posso donarti
in questa strana silenziosa
serata di maggio gravida di violino
e pianoforte a mano sinistra.

Francesco Di Rocco

di rocco

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