mercoledì, Giugno 18, 2025
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Portici, 16enne aggredito dal branco per un saluto a una ragazza

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Un ragazzo di 16 anni è stato vittima di un’aggressione brutale a Portici, alle porte di Napoli, per un gesto banale ma che ha innescato una violenza spropositata: un semplice saluto a una ragazza è bastato per scatenare la gelosia dell’ex fidanzato di lei, coetaneo del giovane, che ha radunato un gruppo di amici e ha colpito la vittima con un pugno violento al volto, provocandogli fratture multiple al viso, tra cui una grave lesione all’arcata oculare. L’aggressione è avvenuta mentre altri membri del branco tenevano lontani gli amici del sedicenne, impedendo loro di difenderlo. Ora il ragazzo è ricoverato in ospedale, dove ha già ricevuto dieci punti di sutura e attende un delicato intervento chirurgico ricostruttivo. La comunità locale è sotto shock, ma episodi simili stanno diventando purtroppo sempre più frequenti in tutta Italia, segno di un malessere profondo e diffuso tra le nuove generazioni.

Dietro questo episodio si cela un quadro sociale complesso. La violenza tra minorenni non è più solo occasionale o marginale: è sempre più spesso organizzata, premeditata, alimentata dal desiderio di dominio, visibilità e reputazione nel gruppo. La “cultura del branco” rappresenta un fenomeno sociologico pericoloso in cui l’individuo si annulla nella massa, si sente legittimato a compiere atti estremi, mentre la responsabilità viene diluita nel gruppo. Questo tipo di violenza è spesso accompagnato dalla spettacolarizzazione sui social, dove vengono condivisi video e immagini delle aggressioni, trasformando l’atto criminale in un’esibizione, un modo per ottenere consenso, visibilità, potere.

Secondo i dati del Ministero dell’Interno, i reati commessi da minori negli ultimi cinque anni sono aumentati in modo significativo, soprattutto nelle aree urbane. Napoli e provincia, in particolare, registrano un numero crescente di baby gang, gruppi informali di adolescenti che si muovono come “stormi”, pronti a colpire per motivi futili o per puro esibizionismo. L’uso della violenza come linguaggio, come strumento per affermarsi o per “vendicare” un torto personale – reale o immaginato – è sintomo di una società che ha smesso di fornire ai giovani alternative culturali e strumenti emotivi adeguati. La famiglia, la scuola, le istituzioni educative faticano a svolgere un ruolo incisivo, lasciando spazio a modelli devianti spesso assorbiti dai social network o da contesti familiari già fragili.

L’episodio di Portici rientra proprio in questa dinamica: la gelosia come miccia, l’orgoglio ferito come movente, la violenza come risposta automatica. Ma dietro il gesto si nasconde un contesto che non è solo giovanile, ma sociale, educativo, istituzionale. È necessario interrogarsi su cosa spinge un ragazzo di 16 anni a considerare legittimo e “giusto” ridurre un coetaneo in fin di vita per un semplice saluto. È necessario chiedersi cosa manca nella vita di questi adolescenti, quali valori non vengono trasmessi, quale ascolto non ricevono.

Gli esperti parlano di “analfabetismo emotivo”, una condizione in cui i giovani non sanno più gestire frustrazione, rabbia, delusione, e reagiscono con un’escalation fisica. Inoltre, il senso d’impunità e la scarsa fiducia nelle istituzioni spingono molti ragazzi a farsi giustizia da soli, ad agire per emulazione, per vendetta o per imposizione della propria superiorità sul più debole.

Per questo, l’episodio di Portici non può e non deve essere letto come un caso isolato. È il segnale di un fenomeno radicato che va affrontato su più livelli: prevenzione educativa, maggiore presenza nei territori, supporto psicologico nelle scuole, promozione di modelli positivi e una rete più forte tra istituzioni, famiglie e società civile. La violenza minorile è un allarme che riguarda tutti. Se non si interviene con urgenza, sarà sempre più difficile sottrarre intere generazioni a una spirale di aggressività, esclusione e autodistruzione.

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