di Cristina La Bella
Quanto è prezioso Mario Draghi? Lo è nel senso più concreto del termine: ha esperienza, relazioni, credibilità internazionale. Ma è prezioso anche perché si fa desiderare. Parla poco, compare di rado. Quando lo fa, non chiede spazio: se lo prende. E ogni volta che torna sulla scena, la politica italiana si spacca in due. È successo di nuovo: oggi nel giorno in cui Giorgia Meloni si gioca tutto nello Studio Ovale con Trump, torna a circolare il nome dell’ex numero uno della Bce. E si badi bene, non come uomo della provvidenza (certe etichette sono sempre ingannevoli, oltre che fastidiose), ma come risorsa strategica per l’Europa.
Draghi divide perché non si lascia gestire. Perché non fa parte del gioco. E soprattutto perché non si fa tirare per la giacchetta. Ogni volta che lo si evoca, scatta l’eterna tentazione italiana di usarlo come soluzione di emergenza o tappabuchi di lusso. Ma Draghi non è né l’uno né l’altro. È un fuoriclasse, che conosce l’America meglio di chiunque altro in Europa. Gli studi al MIT, l’esperienza alla Banca Mondiale, la rete costruita tra banche centrali, governi e mercati lo rendono un interlocutore credibile, ascoltato e stimato. Quando il «New York Times» lo soprannominò “Mr. Fix-it”, nel 2022, non era solo per le sue doti da risolutore, ma per l’autorevolezza con cui sa muoversi nello scacchiere internazionale.
Del resto, durante il suo governo, Draghi ha ottenuto risultati importanti soprattutto sul fronte della politica estera, consolidando la posizione dell’Italia in Europa e rafforzando i rapporti con Washington. Ma non ha mai cercato i riflettori, anzi: appena ha potuto, si è fatto da parte. Una ritrosia che, in un Paese dove chi ha potere tende ad aggrapparvisi, è diventata quasi un tratto sovversivo.