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RACCONTI DI VITO COVIELLO

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RACCONTI DI VITO COVIELLO

 

Moby Dick la balena bianca del metaverso

La balena bianca e Vito, detto anche Vitocchio perché ne faceva una più di Pinocchio

 

 Moby Dick la balena bianca è un libro di favole che Vito Coviello ha voluto raccontare per i bambini raccontando anche di se stesso, di quando era bambino e di quando lo chiamavano Vitocchio, perché ne combinava una più di Pinocchio. Un libro in parte anche autobiografico e certo molto fantasioso, con l’amica immaginaria, la balena bianca e altre cose che non sto a dirvi. Ma cose in effetti che Vito ha vissuto, ha scoperto ed ha conosciuto da bambino, cose che poi nella vita gli sono anche servite per quello che è diventato. Vito Antonio Ariadono Coviello è nato ad Avigliano, il 4 novembre 1954 e dalla nascita vive e risiede a Matera, la città dei Sassi dove è felicemente sposato ed ha una figlia, Liliana. Chi è la luce dei suoi occhi? La moglie Brunella da quando è diventato cieco lo aiuta, lo supporta e lo sopporta anche, perché l’autore ha un caratterino tutt’ora. Certo non è più quel Pinocchio di quando era bambino ma un po’ birbantello lo è rimasto ancora. Vito Coviello ha scritto vari libri. Ad oggi ventitré ma i libri che ha scritto ben più volentieri sono i libri dedicati ai bambini tra cui ”I dialoghi con l’angelo”, ”Sofia raggio di sole”, ”I racconti del piccolo ospedale dei bimbi”, ”Dieci racconti per Sammy” e per ultimo questo ”Moby Dick la balena bianca del metaverso. In particolare, quest’ultimo libro Vito Coviello vuol dedicarlo al fratellino Gabriele che morì quando lui aveva quattro anni e Gabriele ne aveva solo due. A Giacomo, un bambino che aveva dei problemi di salute a causa di una malattia genetica rara e a soli sei anni è volato in cielo, lo stesso giorno in cui morì la mamma di Vito (Ines Gina Muscella), il giorno dell’Immacolata di dieci anni fa. E a Sammy, Samuele un altro bambino che nello stesso ospedale, ammalato anche lui di una malattia genetica rara, volò in cielo giusto l’anno dopo, ad ottobre. E a tutti i bambini del mondo. Vito scrive questo libro per regalarlo, senza né diritti di SIAE, né di editori, né di autori. A tutti i bambini, agli ospedali e a quant’altri. Ogni riferimento a fatti, persone o luoghi è puramente casuale.

Pensiero dell’autore: non perdete i vostri sogni, i sogni sono quelli che vi fanno vivere meglio. I sogni dei bambini devono rimanere sempre nei nostri cuori e nei vostri cuori. Il sogno è il gioco e ritornare a giocare come bambini, significa buttarci alle spalle tutte le cattiverie del mondo.

 

 

Moby Dick la balena bianca del metaverso

 Si stagliava tra le onde del mare la sagoma imponente di Moby Dick la balena albina che come sempre nuotava da sola perché gli altri cetacei la trovavano diversa. Moby Dick disse ad un certo punto ”Ah che mal di testa! Non posso più fare a testate con quelli che mi prendono in giro, non ho più vent’anni. Con quest’ernia alla pinna che mi uccide poi. Ah eccolo là, il capitano Achab. Il pervicace e perspicace capitano Achab che come sempre mi cerca e mi trova. Il capitano Achab mi è pure simpatico ma lui mi vorrebbe portare in uno zoo al chiuso, in pochi metri di acqua e io non faccio altro che scappare da lui. Io continuo a nuotare tra i sette mari. Non ho amici tra i miei coetanei perché mi considerano diversa, perché bianca in mezzo a loro che sono tutti neri. Conosco tanta gente, le sirene, i tritoni, le navi fantasma dei corsari ma poi alla fine rimango sempre da sola e mi piacerebbe tanto avere un amico o un’amica con cui parlare e con cui giocare”. Ecco bambini, vi ho presentato Moby Dick la balena bianca del metaverso. Di lei racconteremo della sua amicizia con Vito detto Vitocchio e delle loro avventure, poi sentirete. Al prossimo racconto cari bambini.

 

 

La balena bianca e Vito, detto anche Vitocchio perché ne faceva una più di Pinocchio

Vito faceva le scuole elementari all’istituto Sacro Cuore di Matera. Aveva sette anni. La sua compagniuccia di banco si chiamava Maria, una bimba che a lui piaceva molto, tanto dolce e tanto cara. Pensate che una volta lo venne a trovare facendo quasi tre chilometri a piedi da dove abitava lei, lontano, da Villa Longo fino in centro a Piazza San Giovanni a piedi. Vito, aveva sulla mano alla maniera dei falconieri un falchetto grillaio, che lui aveva preso quando era caduto dal nido. Un signore adulto, un giovane molto più grande vedendo il falchetto glielo rubò. Lui, nel rincorrerlo per recuperare il suo falchetto, inciampò in una pietra e cadde in avanti e, cadendo in avanti si aggrappò alle gambe di questo giovinastro che cadde di faccia per terra e si fece molto male ma mollò il falchetto che Vitocchio recuperò. Maria, a quel punto, quando vide questa scena lo guardò con sprezzo, ”questi maschietti” gli disse ”non ti facevo così violento”. Si girò e se ne andò. Vito voleva fare la pace con Maria. Allora pensò di regalarle non il falchetto, ma un bellissimo pappagallo colorato e magari anche parlante. E lui sarebbe andato in Africa, sì, perché aveva sentito in televisione che le Are, quei grandissimi pappagalli che parlano, stanno in Africa. E come ci sarebbe arrivato in Africa? Pensa che ti pensa, pensò di costruire un sommergibile. Allora usavano per spedire le cose, le vettovaglie e quant’altro grandi casse di legno, dette anche casse del sapone, casse a forma di cubo che erano a grosso modo un metro e venti per un metro e venti, erano grandi. Lui se ne fece portare due dal papà e pensò di attaccarle l’una all’altra, vuoto a vuoto, in modo da farne un parallelepipedo, un sommergibile a forma di parallelepipedo. Un sommergibile così non si era mai visto. E pensò ”Se devo andare sotto l’acqua, devo impermeabilizzarlo”. Andò a rubare dalla mamma quello che era il copri tavolo che era di plastica colorato, ma impermeabile. E stava incominciando ad inchiodarlo con dei chiodini all’interno, come se la pressione dell’acqua non sarebbe penetrata ugualmente, ma lui non lo sapeva, quindi impermeabilizzava perché sarebbe andato sott’acqua. Poi, come fare il timone? Doveva fare un timone a guida di dietro, ma lui voleva stare alla guida davanti, allora ci mise una corda intorno intorno avvolta al timone di dietro, davanti ad una specie di manubrio che doveva girare. Naturalmente, dove poteva fare questo sommergibile? Nella soffitta di casa! Sì, come se poi qualcuno avrebbe dovuto scendergli il sommergibile. Ma non c’aveva pensato a questo. Comunque, tanto fece, tanto disse, tanto brigò che Vitocchio costruì il sommergibile e, non so come, per quale miracolo o quale angelo, nella sua immaginazione riuscì a farlo arrivare in mare, prima attraverso il fiume Bradano e dal fiume arrivò al mare a Metaponto. Però il suo sommergibile di legno incominciava a fare acqua. Quando lo vide Moby Dick la balena bianca, la balena che era discriminata dalle sue sorelle perché lei era bianca e le altre balene sono tutte nere. Nonostante la sua età, andava sempre da sola. Quando vide quella strana cassa, quello strano sommergibile con quel bambino che gridava aiuto, si precipitò a salvarlo, come aveva fatto anche la sua mamma con un tale bambino di legno. Non mi ricordo, voi bambini ricordate come si chiamava quel bambini? Ahh Pinocchio! Aveva salvato sia il papà Geppetto, sia il figlio che era andato alla ricerca del padre e li aveva portati nella sua bocca fin sulla terra ferma. Allora la balena bianca Moby Dick, prese il sommergibile nella bocca e con la bocca aperta lo portò sulle onde e mentre nuotava gli chiese ”Ma cosa stai facendo? Sei un incosciente! Come ti chiami?” ”Mi chiamo Vito ma tutti mi chiamano Vitocchio perché ne faccio una più di Pinocchio” disse Vito. ”Ahh anche tu ti chiami Pinocchio Ma dove volevi andare?” gli chiese Moby Dick la balena bianca. ”Volevo andare in Africa a prendere un pappagallo per la mia compagna di banco, Maria, così magari facciamo la pace” rispose Vito. La balena bianca si mise a ridere ”Va bene ti accontenterò”. E con la sua grande bocca aperta navigò per mari mari e mari e arrivò fino in Africa sulla costa del mare, dalla parte che ora chiamano la Tunisia e arrivarono in un porto. Vito scese dal suo sommergibile, andò a cercare qualcuno a cui chiedere. Tanto fece, tanto disse che gli regalarono un pappagallo tutta colorata, tutta impettita che però parlava francese, sai, in Tunisia parlano francese non parlano italiano. Però non vi preoccupate che tanto poi lui gli avrebbe insegnato a parlare in materano perché lui era di Matera e la bimba era di Matera, per il francese erano ancora troppo piccoli, una strana lingua che finiva con tante R, come ”Bonsoir, au revoir, comme ça va”. Ma chissà cosa diceva questo pappagallo. Comunque prese il pappagallo e Moby Dick la balena bianca del metaverso lo portò di nuovo attraverso il mare, attraverso tutto il Mediterraneo, entrò da Metaponto per il Bradano, dal Bradano arrivò fino a quello che era un muro altissimo, la diga di San Giuliano, e lì lo fece scendere. Vito con il suo grande pappagallo finalmente arrivò a casa. I suoi non si erano accorti di tutto questo, e perché? Tutto questo in realtà era accaduto in sogno a Vito (Vito ci si era addormentato in quei due scatoloni di legno che lui chiamava sommergibile), il sogno non ha limiti di tempo o di spazio. Aveva sognato tutto questo, però la mattina nella sua stanza c’era una penna di pappagallo, e Vito si svegliò un po’ così. La penna era una penna coloratissima, ma non sapeva se il pappagallo lo aveva veramente preso e portato fino a casa, o se il pappagallo arrivato a casa era volato via lasciandolo con un palmo di becco. Voi cosa ne dite bimbi? Alla prossima, al prossimo racconto.

Vito Coviello

 

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