Il rubinetto delle estorsioni a Caivano è stato chiuso ma l’eco delle sue conseguenze spinge verso nuove regole dopo l’arresto del boss Antonio Angelino, detto “Tibiuccio”, figura apicale del clan di zona che ha importo un sistema di racket ramificato e pervasivo. La Procura della Repubblica di Napoli ha disegnato il “sistema Caivano” come un complesso intreccio tra appalti pubblici, tangenti e pizzo, gestito con la complicità di politici, dirigenti comunali e imprenditori. Il Comune è stato sciolto per infiltrazioni mafiose già nel 2023, un evento che ha svelato gli ingranaggi di un meccanismo in cui la camorra dettava chi doveva ottenere l’appalto e imponeva ai vincitori estorsioni mensili dai 300 ai 20.000 euro, organizzate su base stagionale con rate di Natale, Pasqua e Ferragosto; gli estorti spesso esitavano a denunciare, e le liste delle vittime venivano tramandate da un clan all’altro . Nel marzo 2024 un blitz con 14 arresti ha ricostruito 36 episodi di racket, un sistema così strutturato che le vittime venivano “rastrellate” in sequenza prima dell’estorsione e tra gli arrestati figurava un vigile urbano coinvolto nella latitanza di Tibiuccio, che ne aveva organizzato la fuga in una villetta in provincia di Caserta . Il giro di tangenti non si limitava al pizzo: l’Antimafia ha individuato un comitato d’affari in cui amministratori e tecnici comunali, tra cui assessori e dirigenti, favorivano il clan con informazioni riservate sui bandi pubblici in cambio di mazzette dirette ai politici e al boss . In seguito al processo con rito abbreviato, tra febbraio e aprile 2025 sono arrivate le prime condanne: Tibiuccio è stato condannato a 15 anni e 8 mesi per associazione mafiosa e estorsione aggravata, mentre numerosi esponenti del clan e intermediari politici e tecnici hanno ricevuto pene variabili da circa 6 a 15 anni (tra cui il fratello Gaetano Angelino, l’ex assessore Carmine Peluso, il tecnico Martino Pezzella e il dirigente Zampella) . Contestualmente sono scattati provvedimenti cautelari a carico di imprenditori e funzionari per appalti truccati sul superbonus, con intercettazioni che rivelano modalità arroganti di richiesta del pizzo (“i soldi li deve cacciare l’impresa”) . L’inchiesta non è conclusa: sono in corso altri processi ordinari nei confronti di 11 indagati tra politici, tecnici, imprenditori e affiliati al clan . L’operazione ha evidenziato non solo la claustrofobia sociale di Caivano, stretta tra enormi palazzoni popolari e paure diffuse, ma anche la reazione dello Stato; nonostante le condanne, si individuano oggi nuove regole finalizzate a rafforzare i controlli sugli appalti, prevenire le infiltrazioni e offrire protezione a imprenditori e cittadini da estorsioni sistematiche. Si punta alla trasparenza nei bandi, alla sorveglianza dei funzionari pubblici, alla formazione delle imprese e a un coordinamento tra Prefettura, Autorità Giudiziaria, Comuni commissariati e forze dell’ordine. Il quadro che emerge è quello di una città che tenta di voltare pagina, ma che deve affrontare il peso di decenni di mescolanze tra corrotti e corrotti e di una criminalità che non ha mai smesso di considerare Caivano terra di conquista. Solo modificando strutturalmente le regole si potrà spezzare la catena che lega politica, malavita e clientele.