In Irlanda è diventata realtà una misura storica: un reddito base permanente per oltre 2.000 artisti — tra musicisti, attori, scrittori, danzatori e performer. A partire dal 2026, riceveranno 325 euro a settimana per poter creare, sperimentare e vivere della propria arte senza essere schiacciati dalla precarietà.
Un progetto nato come esperimento e che ora entra stabilmente nel bilancio nazionale. Non è un bonus né un bando temporaneo: è un riconoscimento politico e culturale che l’arte è un lavoro a tutti gli effetti e come tale merita tutele e dignità.
In Italia, invece, la situazione è ben diversa. Esistono strumenti come i fondi del Nuovo IMAIE, l’indennità di discontinuità e contributi una tantum, ma si tratta di misure parziali e frammentate: servono requisiti specifici, ci sono bandi e graduatorie, lunghe attese e, soprattutto, nessuna garanzia di continuità.
Molti artisti si trovano addirittura a pagare per potersi esibire, tra tasse, contributi e costi di produzione. Un musicista che incassa 500 euro per un concerto, ad esempio, può arrivare a portarne a casa poco più della metà, senza contare il tempo e l’energia investiti in prove, promozione e gestione burocratica.
La misura irlandese manda un messaggio chiaro: sostenere chi crea significa investire nella cultura, nell’identità e nel futuro di un Paese.
L’Italia, patria di innumerevoli artisti e creativi, resta ancora lontana da un modello strutturale capace di offrire sicurezza e dignità a chi fa dell’arte la propria professione. Serve un cambio di prospettiva: non più considerare la cultura come accessoria, ma come un pilastro sociale ed economico da proteggere e far crescere.









