domenica, Marzo 16, 2025
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I centri nascita sotto i 500 parti sono un rischio? Polemiche e soluzioni. Mario Polichetti fa chiarezza

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A distanza di un decennio, torna ad infiammarsi il dibattito circa la chiusura dei punti di nascita con meno di 500 parti annui, messa in atto con la legge del 2015 del Ministero della Salute, finalizzata a garantire la massima sicurezza per mamme e neonati. Infatti, secondo tale legislazione, i suddetti reparti non garantiscono standard adeguati, raggiungibili solo in centri con con oltre 1.000 parti l’anno.

Cifre che, secondo gli esperti, sono necessarie in quanto, nei reparti con un numero di nascite inferiore alla soglia minima non dispongono dell’esperienza clinica necessaria per gestire emergenze ostetriche, aumentando il rischio di complicazioni. Ad aggravare la situazione, la carenza di personale specializzato e di strutture adeguate che rende difficile assicurare standard di qualità paragonabili ai centri con volumi di attività superiori. Pertanto, il Piano Nazionale per la sicurezza dei punti nascita, aggiornato nel corso degli anni, ha previsto quindi la concentrazione delle nascite in ospedali meglio attrezzati, accompagnata dal potenziamento del trasporto neonatale d’urgenza (STEN) e del trasporto materno assistito (STAM), per garantire assistenza tempestiva alle gestanti.

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Ad intervenire con fermezza sul tema è Mario Polichetti, responsabile nazionale del dipartimento Sanità per l’Udc, che ha respinto le critiche avanzate da alcuni esponenti politici, accusandoli di sfruttare la questione per fini elettorali:

“È un atteggiamento demagogico, tipico di chi si appresta all’appuntamento elettorale, quello di affermare cose che non trovano riscontro nelle evidenze scientifiche”.

Dichiara, per poi sostenere la validità della misura del 2015 proprio perché “manca l’expertise e l’esperienza necessaria per gestire gravidanze e parti in sicurezza” e a farne le spese, poi, sono gli stessi pazienti.  “Se si lavora poco, si ha inevitabilmente meno esperienza, ed è per questo che il Ministero ha stabilito la chiusura di questi punti nascita”.

Specifica Polichetti, per poi ribadire che l’apertura di tali strutture con numeri inferiori agli standard richiesti non solo non tutela le partorienti, ma rischia di compromettere la qualità dell’assistenza sanitaria offerta:

“Chi si oppone alla chiusura di questi punti nascita ignora il principio fondamentale della sicurezza delle partorienti. È indispensabile che le future mamme si rivolgano a strutture con numeri adeguati, perché un alto numero di parti garantisce maggiore professionalità e qualità delle prestazioni erogate”. Infatti, la competenza si costruisce con l’esperienza“: anche la medicina, come tutti i lavori, si ‘impara sul campo‘ e soprattutto applicando quella conoscenza in diversi contesti su diversi casi. È la medesima logica valida per le patologie oncologiche: chi ha una casistica ridotta non può offrire gli stessi standard di chi gestisce un numero elevato di interventi”.

Una possibile soluzione alternativa proposta dal responsabile dell’Udc, sarebbe quella di potenziare il Servizio di Trasporto e Assistenza Materna in utero (STAM), al fine di garantire un accesso più sicuro e tempestivo ai centri nascita più attrezzati:

“È necessario investire nel servizio di trasporto STAM, che consente di trasferire le gestanti presso centri con numeri adeguati e personale altamente qualificato. Questo è il modo corretto di tutelare la salute delle mamme e dei neonati, non certo mantenendo aperti punti nascita privi dei requisiti di sicurezza”.

Con questa posizione netta, l’Udc ribadisce l’importanza di scelte basate su criteri scientifici e non su slogan elettorali. Tuttavia, la chiusura dei punti nascita sotto la soglia dei 500 parti annui resta un tema delicato, tra la necessità di garantire sicurezza e la tutela della sanità territoriale, che rischia di vedere ridotte le proprie strutture essenziali. Un dibattito ancora aperto in attesa di soluzioni concrete che possano conciliare efficienza e accessibilità ai servizi sanitari.

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