
Le elezioni regionali del 2025 in Toscana hanno consegnato nuovamente la guida della Regione al centrosinistra, con Eugenio Giani riconfermato presidente grazie al 54,8% dei voti. Un risultato che, a fronte di un’affluenza ai minimi storici 47,73%, solleva interrogativi profondi sul comportamento dell’elettorato toscano. Affluenza in caduta libera: disinteresse o rassegnazione? Mai così pochi toscani si sono recati alle urne. Rispetto al 2020, quando l’affluenza era al 62,2%, il calo è stato di quasi 15 punti percentuali. In alcune province, come Massa Carrara, si è votato meno del 23%. Secondo YouTrend, “il dato riflette una crescente disillusione verso la politica regionale, ma anche una polarizzazione ideologica che impedisce il cambiamento”. Perseverare nell’errore: fedeltà o masochismo? Nonostante i problemi cronici della sanità, i ritardi infrastrutturali e una gestione regionale spesso criticata anche da sindacati e associazioni di categoria, il voto ha premiato ancora una volta il campo largo di centrosinistra. Alessandro Tomasi, candidato del centrodestra, si è fermato al 41,3%. Antonella Bundu, esponente della sinistra radicale, ha superato il 5%, segno che una parte dell’elettorato continua a votare per ideologia, anche a costo di ignorare i risultati concreti. Lo storico e analista politico Marco Valiani ha commentato: “La Toscana è prigioniera della sua identità politica. Il voto non è più uno strumento di cambiamento, ma un rituale di appartenenza. E quando l’appartenenza supera la valutazione razionale, il rischio è l’autolesionismo democratico”. Silenzio dopo il voto: coerenza o ipocrisia? Chi ha votato per confermare l’attuale assetto politico dovrebbe ora accettare con coerenza le conseguenze. Lamentele future su disservizi, tasse, burocrazia o inefficienze non avranno legittimità se non accompagnate da una riflessione autocritica. Come ha scritto il sociologo Paolo Galli: “Il voto è un atto di responsabilità. Se lo si esercita senza consapevolezza, si diventa complici del declino”. La Toscana ha bisogno di una rivoluzione culturale prima ancora che politica. Serve un elettorato che voti con la testa, non con la nostalgia. Che premi competenza, visione e pragmatismo, non slogan e appartenenze. Finché questo non accadrà, la Regione rischia di restare intrappolata in un ciclo di autocompiacimento e stagnazione.









