L’annuncio non è di quelli che fanno tremare le Borse o le relazioni internazionali, ma sicuramente fa scalpore.
Donald Trump vuole ristrutturare e riaprire il carcere di Alcatraz, la famigerata prigione federale situata su una piccola isola della California, nel Golfo di San Francisco, chiusa ormai sessant’anni fa. Il carcere ospiterà, dice Trump, “i criminali più spietati e violenti d’America”.
Che sia un atto simbolico lo scrive lui stesso, su Truth, enumerando “Legge, Ordine, e Giustizia” con le maiuscole d’ordinanza e qualche pasticcio con le virgole.
Le ragioni del presidente sono le stesse che nel 1932 convinsero gli Stati Uniti ad acquisirla – era già un carcere – facendola diventare “la prigione più sicura d’America”, anche se poi da lì, in tre riuscirono ad evadere. Addio dunque ad Alcatraz come luogo turistico, visitato da migliaia di turisti all’anno. Tornerà ad essere quello che era in origine.
In questo caso l’annuncio di Trump sembra più spettacolare che utile anche perché, a differenza degli anni ’30, le misure di sicurezza di un carcere non stanno nel fatto che sia a 2 chilometri dalla costa californiana, immersa in acque gelide e piene di correnti. Di misure di sicurezza ce ne sono altre che, certamente, assicurano una detenzione meglio organizzata.
La decisione sembra più seguire il fil rouge del tycoon, secondo cui tutto ciò che a suo parere è ostile all’America deve essere “cacciato fuori”. Può essere oltre i confini col Messico se si tratta di migranti, può essere definito da una politica neo-protezionistica che crea conflittualità nel commercio internazionale e potrebbe essere anche, per l’appunto, l’Isola di Alcatraz come luogo in cui rinchiudere “i più cattivi” d’America.