LO ZEN E L’ARTE DEL CINEMA
Ci sono due tipi di reazioni di fronte alla visione del film del regista Wim Wenders “Perfect Days”: quella di chi dopo averlo visto afferma che sia un film noioso, ripetitivo, soporifero e sconclusionato, e quella di chi dopo averlo visto quasi quasi desidera cambiare vita. Ad esempio: andare a fare il lavoro del protagonista ‘pulire i bagni pubblici di Tokyo’.
Ma diciamocelo, i bagni pubblici di Tokyo (che sono davvero belli) sono solo il dito che qualcuno si ferma a guardare, la Luna, a cui in realtà nel profondo aspira chi apprezza il film, è il modo di vivere di Hirayama. Un modo per nulla invidiabile si direbbe, e sì, piuttosto monotono come ha osservato qualcuno, eppure intriso di qualcosa che la maggior parte di noi ha perso ‘la capacità di meravigliarsi e sorridere di fronte alle piccolezze, la capacità di porre attenzione ciò che ci circonda’.
Ciò che colpisce del film, e più che annoiare “rilassa”, è questo continuo soffermarsi sui dettagli che lo sguardo di Hirayama ci regala – togliere il superfluo per arrivare all’essenziale – che spesso si trova nel godere di una canzone di Lou Reed durante il tragitto da casa a lavoro (a proposito, vi consiglio la discografia del film che è davvero fantastica) mentre il mondo fuori è ancora mezzo addormentato, o nel sedersi all’ombra di un albero a consumare il pranzo, osservando il mosaico di luce che fanno i raggi del sole che filtrano tra le foglie; prendersi cura delle piante, o immergersi in lunghe letture silenziose. Cogliere ogni sguardo, movimento, storia che ci passa accanto o che ci attraversa.
Hirayama è un uomo che utilizza parte dei pochi soldi che guadagna per comprare libri, musica e di tanto in tanto andare a bere qualcosa in compagnia, in una routine ben delineata che scandisce le sue giornate, sebbene non immune dagli imprevisti della vita che arrivano e per un po’ sembrano destabilizzare tutto, ma che in realtà sono solo un ulteriore modo per far emergere ciò che è realmente importante.
Dunque, c’è chi è uscito dalla sala del cinema lamentandosi di aver sprecato i soldi del biglietto, e chi invece sente di aver guadagnato occhi nuovi con cui poter guardare il solito, monotono, mondo ordinario che lo circonda.
@ di Maria D’Ambrosio