Leggendo i risultati ormai quasi definitivi delle elezioni europee, sembra di tornare indietro nel tempo. Ai tempi di Berlusconi e Prodi, del Popolo delle Libertà e della sinistra unita. “Pericolo fascista” contro “pericolo comunista”. Inutile girarci intorno, in Italia si vota (in pochi) seguendo sempre lo stesso schema. Come se fossimo perennemente allo stadio, fra slogan e tifo di parte. Inoltre, più della metà dei cittadini ha perso ogni interesse per la politica. Peccato che la politica, che si vada a votare oppure no, decide i destini di tutti. E astenersi alla fine ricorda la vetusta storiella del marito che si priva della virtù per far dispetto alla moglie. Siamo il Paese che, dati alla mano, in questi 20 anni e più di Euro e Unione Europea è stato massacrato in ogni suo comparto vitale. Eppure siamo il Paese più “europeista” di tutti, l’unico in cui non c’è traccia di movimenti davvero critici verso Bruxelles. E i pochi che ci hanno provato sono stati ignorati. Verrebbe da pensare alla “sindrome di Stendhal“, con la vittima incastrata in un perverso legame psicologico con il carnefice.
A uscire vincitori da queste europee sono, senza dubbio, i due partiti maggiori che già da prima delle elezioni politiche hanno polarizzato lo scontro. Fratelli d’Italia supera il risultato precedente e il Pd raggiunge un insperato 24%. Se andiamo ad analizzare il risultato, però, scopriamo che queste percentuali sono favorite dall’astensionismo. I grandi sconfitti di questa tornata elettorale sono i 5 Stelle e in parte la Lega. I primi, hanno perso credibilità e sono diventati un movimento né carne né pesce. Non sono più un partito anti-sistema (se lo sono mai stati) e non sono nemmeno un partito di governo. Reggono solo al Sud sull’illusione del Reddito di Cittadinanza. Il Carroccio si è parzialmente salvato solo grazie alla candidatura di Vannacci, che ora però rappresenta un grande problema all’interno del partito. E ha subito il sorpasso di Forza Italia, che riesce ancora a raccogliere una parte degli elettori moderati meno inclini a spostarsi a destra. Colpisce poi il risultato di Verdi e Sinistra uniti, premiati anche dal voto giovanile “ecologista”.
I partiti del cosiddetto “centro”, con Renzi e Calenda, hanno fallito l’obiettivo europeo e anche quello di proporsi come forza alternativa. Per Renzi, non ha pagato l’alleanza ultra europeista con la Bonino. Per Calenda, l’indefinitezza di un progetto di cui non si capisce il senso. Eppure, se si guarda al totale dei voti delle coalizioni, la nascita di un ipotetico campo largo a sinistra fa pensare che quel 5-6% dei partiti minori potrebbe essere decisivo in vista delle prossime elezioni politiche. Perché in Italia si finisce sempre per avere un Paese spaccato a metà, dove chi vince, anche con un risultato netto, comunque non trionfa. E dove i voti passano da un partito all’altro all’interno delle coalizioni, ma la loro somma rimane più o meno la stessa. Di certo, il risultato delle europee rafforza numericamente l’alleanza di governo, ma mostra anche una Lega idealmente piuttosto distante da Fi e FdI. A sinistra si riproduce l’egemonia del Pd con una accelerazione verso una sinistra più radicale e l’incognita dei 5Stelle che dovranno decidere cosa fare da grandi per non rischiare l’estinzione. Altro non si intravvede all’orizzonte. In un’Europa in fermento, siamo un Paese immobile. A meno che gli attori principali non decidano di cambiare linea e di proporre qualcosa di realmente nuovo.