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  Comitato per la tutela dei giornalisti: “Il conflitto è costato la vita a più giornalisti di quanti ne siano mai stati uccisi in un singolo Paese in un anno intero”

da Andrea Ippolito 

 

Ho già parlato dei giornalisti che sono morti nella carneficina di Gaza (leggi anche: Solidarietà per i giornalisti uccisi a Gaza), il dato, riportato il 26 febbraio dalla Federazione Internazionale dei Giornalisti (IFJ) nella Giornata internazionale dei giornalisti palestinesi, era eclatante, tragico e drammatico: circa 100 giornalisti uccisi a partire dal 7 ottobre 2023, la maggior parte dei quali palestinesi.

Va ricordato che la IFJ (International Federation of Journalists) è la più grande federazione internazionale che mette insieme sindacati e associazioni di giornalisti in tutto il mondo.

Ma c’è anche un’altra organizzazione che sta raccogliendo i dati sui crimini contro i giornalisti e lo fa a partire dall’anno 1992, si tratta del Comitato per la tutela dei giornalisti (CPJ – Committee to Protect Journalists), ente indipendente e senza scopo di lucro che promuove la libertà di stampa in tutta la Terra e che ha sede a New York (USA). “Difendiamo il diritto dei giornalisti di riportare le notizie in modo sicuro e senza timore di ritorsioni”, affermano dal CPJ.

Prima di trasmettere gli aggiornamenti diffusi (dal 16 aprile) descriverò brevemente cosa fanno gli esperti (sono 40) del Comitato, i quali si mobilitano immediatamente appena si verificano violazioni della libertà di stampa, quindi attraverso una rete di corrispondenti denunciano i fatti e “agiscono a nome delle persone prese di mira”.

Inoltre il database dei giornalisti uccisi viene gestito, organizzato e diviso in due categorie principali, quella dei decessi “confermati”, quando le prove indicano che un giornalista è deceduto in relazione al suo lavoro; “non confermati”, quando invece non ci sono informazioni sufficienti per determinare il motivo dell’omicidio. Va specificato che all’interno dei “non confermati” non sono inclusi i giornalisti che muoiono per altre cause come malattie, disastri naturali o incidenti.

“Più di tre quarti dei 99 giornalisti e operatori dei media uccisi in tutto il mondo nel 2023 sono morti nella guerra Israele-Gaza, la maggior parte dei quali sono palestinesi uccisi negli attacchi israeliani a Gaza. In tre mesi il conflitto è costato la vita a più giornalisti di quanti ne siano mai stati uccisi in un singolo Paese in un anno intero”, sono le parole del CPJ pubblicate il 15 febbraio. (I dati quindi già erano sconvolgenti due mesi fa!).

Fa sapere il CPJ che dal 18 aprile 2024 sono stati confermati come deceduti 95 giornalisti e operatori dei media (90 palestinesi, 2 israeliani e 3 libanesi). Nel frattempo altri 16 giornalisti sono rimasti invece feriti, 4 sono dispersi, 25 sono stati arrestati, altri ancora hanno subito aggressioni, minacce, attacchi informatici, censura, nonché uccisioni dei propri familiari.

“Il CPJ sottolinea che i giornalisti sono civili che svolgono un lavoro importante durante i periodi di crisi e non devono essere presi di mira dalle parti in guerra. I giornalisti di tutta la regione stanno facendo grandi sacrifici per coprire questo conflitto straziante. Quelli di Gaza, in particolare, hanno pagato, e continuano a pagare, un tributo senza precedenti e si trovano ad affrontare minacce esponenziali. Molti hanno perso colleghi, famiglie e strutture mediatiche e sono fuggiti in cerca di sicurezza quando non esiste un rifugio o un’uscita sicura”, ha affermato il 18 aprile il coordinatore del programma Medio Oriente e Nord Africa del Comitato per la tutela dei giornalisti Sherif Mansour.

Alcune testimonianze di violenze, morte e assalti

Numerosi giornalisti sono stati trucidati, come descritto nel dettaglio dal Committee to Protect Journalists, massacrati da soli o insieme alle loro famiglie: uno di questi è morto sparato da cecchini delle Forze israeliane mentre si trovava all’interno dell’Ospedale Nasser di Khan Yunis, altri sotto i raid aerei, sotto attacchi di droni. Gli attacchi aerei sono avvenuti addirittura nei campi profughi, qualche reporter è deceduto purtroppo anche per assenza di cure, qualcuno è stato ucciso da colpi di arma da fuoco mentre attendeva la farina durante una consegna di aiuti umanitari, uno dei direttori delle stazioni televisive palestinesi è stato spazzato via insieme a suo figlio in un attacco missilistico, qualche altro operatore del settore nella propria casa, sotto le macerie, con i propri familiari in seguito a bombardamenti.

Segue una delle testimonianze di morte: “Il 15 dicembre 2023, Samer Abu Daqqa, un cameraman di Al-Jazeera Arabic, è stato ucciso da un attacco di droni mentre riprendeva le conseguenze degli attacchi notturni israeliani contro una scuola delle Nazioni Unite che ospitava sfollati nel centro di Khan Yunis, nel sud di Gaza, secondo Al-Jazeera e l’Agenzia di stampa Reuters. Era intrappolato con altre persone ferite nella scuola, che era circondata dalle forze israeliane, e non è stato possibile evacuarlo per le cure. Il suo collega, il capo dell’ufficio di Al-Jazeera Wael Al Dahdouh, è rimasto ferito nello stesso sciopero”.

Segue una delle testimonianze di assalti: “Il 17 novembre, il videografo inglese di Al-Jazeera Joseph Handal è stato aggredito da coloni israeliani a Betlemme, in Cisgiordania, secondo l’agenzia di stampa ufficiale dell’Autorità Palestinese Wafa, il Palestine News Network e il Sindacato dei giornalisti palestinesi. Gli aggressori hanno fracassato le luci e i finestrini dell’auto di Handal e lo hanno colpito in faccia con una pietra prima che fosse portato in ospedale, hanno detto le fonti“.

E’ possibile garantire la sicurezza dei giornalisti che operano nella Striscia di Gaza?

Il 27 ottobre 2023 l’Esercito israeliane avvisava alle testate giornalistiche internazionali Reuters e Agence France Presse di non poter garantire la sicurezza dei giornalisti che operano nella Striscia di Gaza. Sempre Reuters, in risposta alla missiva dell’IDF (Forze di difesa dello Stato di Israele, ndr.), dichiarava quindi: “La situazione sul campo è terribile e la riluttanza dell’IDF a fornire garanzie sulla sicurezza del nostro personale minaccia la loro capacità di fornire notizie su questo conflitto senza timore di essere feriti o uccisi”.

E’ doveroso allora chiudere con una domanda molto logica: Se quindi lo Stato ebraico affermava di non poter garantire la sicurezza dei giornalisti in loco, proprio perché “sotto bombardamento e assedio israeliano da quasi tre settimane” (così scrive Reuters), come avrebbe potuto Israele garantire la sicurezza dei cittadini palestinesi disarmati che abitano la “Striscia”?

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