venerdì, Maggio 3, 2024
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Intervista: Libera D’Angelo

Nella società occidentale contemporanea l’importanza del concetto di “luce” è stato protagonista di notevoli mutazioni. Se solo pensiamo ai fatti accaduti negli ultimi tre anni – ancora in corso – la guerra in Ucraina e a Gaza, le morti nel Mediterraneo, ai conflitti in diverse parti del mondo tutto assume un “volto” con incertezze ed ombre. Tangibili cambiamenti che hanno portato anche ad una percezione del mondo degli artisti, operatori delle arti e della comunicazione, sociologi, psicologici/psichiatrici, medici/consulenti e politici a catturare e modificare il loro modo di individuare la fragilità dell’essere umano.

La rubrica #LIGHT AND #FACE torna con l’intento di raccontare, mostrare, trasmettere il modo in cui è cambiato lo sguardo di chi fa delle arti, della politica e della sanità uno strumento per dare vita e potere al nuovo senso dell’umanità. Giorni difficili per il globo, in vista di ulteriori conflitti in Medioriente, che lasciano il fiato sospeso ed inevitabilmente il concetto di “follia e pazzia” torna di nuovo protagonista nei dibattiti e nei salotti televisivi.

Per l’occasione abbiamo voluto intervistare una donna, un consulente che ogni giorno si imbatte con la follia e disturbi psichiatrici, la dottoressa e politico Libera D’Angelo.

La politica come la sanità da sempre sono lo specchio in cui si riflette o si palesa la storia.

Un “messaggio politico o una azione nel campo medico” sono elementi a cui viene data “espressione” ogni qualvolta che accade un caso e si cattura la luce o il disagio di un popolo.

L’evento della guerra è una fotografia che non sbiadisce negli anni, ha una dinamica che torna alla “luce” sulle “facce” e nella mente di tutti noi, ogni giorno, e soprattutto quando ci si unisce per ricordare le vittime di una tragedia passata.

Tuttavia, il tempo trascorre ma la “follia” o la “pazzia” che regna nell’animo umano è un fuoco che arde senza freno ed è difficile riconoscere il vero “volto” a cui attingere per ritrovare la “luce” verso quel concetto tanto decantato ma poco applicato se non per frammenti di tempo… la Pace.

Libera D’Angelo è dottoressa in Scienze pedagogiche e sociologiche ed è una donna napoletana con un carattere combattivo. Una professionista determinata a fare del suo sapere ed esperienza uno strumento per aiutare i più fragili soprattutto in vista di una realtà sempre più attenta a demolire il diverso che a integrarlo. Vanta di un vasto curriculum che la vede partecipe in prima linea a difesa dei diritti dei più deboli: interventi nei convegni, attiva nelle associazioni di competenza, pubblicazioni, ovvero, sempre più combattiva attraverso il suo ruolo politico che la porta ad affrontare ogni giorno dinamiche e sviluppi a fronte delle  “difficoltà” ma anche dei grandi risultati. A fronte di ciò, abbiamo voluto che fosse lei a raccontarci l’importanza di fare un lavoro che ti porta a vedere il mondo attraverso “l’occhio distolto dell’umanità” ma che inevitabilmente emerge l’essenza più vera dell’uomo, senza filtri.

“Ogni piccola scelta è fatta di coraggio la vita non è certezze ma un insieme di paure vinte”

Da dove nasce la sua vocazione per l’ambito dei disturbi mentali?

“La mia “vocazione”, se così vogliamo intenderla, ha una duplice matrice. La prima, dalla mia passione per la psicologia che ho coltivato tramite il mio percorso di studi in psicopedagogia, e la seconda dal fatto che sono un familiare di una persona che soffre di disturbi psichiatrici. Queste due condizioni hanno fatto si che la tematica della salute mentale sia sempre stata al centro della mia vita, sia professionale che familiare, e approcciarsi in prima persona con le potenzialità e i limiti di una branca così ampia e mal definita mi hanno spinta a voler dare qualcosa in più a tutta una comunità che silenziosamente combatte ogni giorno per avere riconoscimenti e diritti”.

Cosa ispira la sua forza e come si trasforma in azioni applicabili nel suo lavoro. Anche il suo ruolo politico quanto è importante per sensibilizzare anche le istituzioni?

“La mia forza è ispirata dall’aver toccato con mano la disperazione e dall’aver vissuto da vicino la solitudine e il poco supporto riservato a questa sofferenza da parte delle istituzioni. La politica mi permette di intercedere con i diretti interessati, di raccogliere le istanze dei familiari e di portarle direttamente alle istituzioni, per dare voce a chi purtroppo, ancora oggi, non ne ha”.

La follia ha sempre avuto un ruolo contrastante e importante nella storia dell’umanità; nel suo caso come sceglie i suoi metodi di approccio verso l’altro. Potrebbe essere uno di questi metodi un modo per mettere “luce” nei cuori di coloro che non “vediamo”?

“Nella storia umana, la follia è stata spesso sinonimo di genialità, non intesa come capacità soprannaturale bensì come capacità di affrontare determinati problemi da un punto di vista innovativo, con metodi e capacità che hanno fatto scuola e che hanno permesso alla società di evolversi e progredire. Molte grandi menti della storia soffrivano di problemi mentali e nonostante questo a loro dobbiamo tantissimo del nostro patrimonio artistico, culturale e scientifico. Ecco in questo credo risieda la chiave per affrontare correttamente i disturbi mentali, ovvero cercare di valorizzare le capacità del singolo per permettere la massima espressione delle proprie potenzialità, che spesso sono davvero sorprendenti”.

Il compito di un talento è quello di esprimere al massimo le sue idee. Ma il medico, lo psichiatra e tutti gli operatori dell’ambito di suo riferimento hanno bisogno di attivare la scienza. Lei si serve solo della medicina, della scienza oppure attinge anche dalle arti per aiutare i suoi pazienti?

“Ritengo che l’arte, in tutte le sue forme, sia un potente veicolo per canalizzare le energie in modo positivo. La mente umana è intrinsecamente complessa, coinvolgendo una vasta gamma di emozioni e pensieri. L’arte agisce come una medicina per l’anima e le emozioni, beneficiando non solo i pazienti, ma tutti coloro che ne entrano in contatto. Le discipline artistiche offrono un modo straordinario per esprimere e indirizzare la potente energia e le capacità spesso inespresse attraverso i mezzi convenzionali della medicina. Integrando l’arte, sia essa musica, pittura, teatro, è possibile offrire ai pazienti un approccio più completo e soprattutto rispettoso della loro complessità umana eludendo la mera categorizzazione negli stereotipi che le procedure standardizzate impongono”.

Il “volto” della società è cambiato con esso l’approccio verso gli altri. Lei come è cambiata o come è rimasta fedele al suo modo di guardare il mondo. Che tipo di sogno o obiettivo ha nel cassetto per rivoluzionare la percezione che si ha del diverso?

“Con grande ottimismo possiamo apprezzare che l’evoluzione della socialità si espande verso la tolleranza e l’inclusione. È un processo lento ma che già presenta dei risultati significativi soprattutto se pensiamo all’evoluzione dell’approccio alla diversità etnica o sessuale negli ultimi 20 anni. Su questa scia, il mio sogno è che si arrivi ad un generale riconoscimento, accettazione ed inclusione sociale anche dei soggetti con disturbi psichiatrici, autismo in primis, e che la percezione delle altrui peculiarità sia caratteristica normale nel riconoscimento dell’altro, in un mondo in cui “diverso” sia sinonimo di “unico”, quell’unicità che contraddistingue tutti noi e che, al contempo, ci accomuna in quanto esseri umani”.

Una donna che traccia con la sua esperienza le meandri di una società che viviamo sempre più distratti soprattutto dal senso di attesa di una politica più propensa a fare anche per i più fragili che a slogheggiare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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