A 32 anni dall’introduzione della legge che vietò l’uso dell’amianto, dai dati epidemiologici emergono ancora malattie attribuibili ad esposizioni ad amianto nel nostro Paese, evidenziando che le esposizioni passate e l’amianto residuo rappresentano a tutt’oggi un problema di sanità pubblica
Era il 27 marzo del 1992 quando, con la legge 257, l’Italia vietò l’utilizzo dell’amianto e la produzione di manufatti contenenti amianto, anticipando di 13 anni il divieto emanato poi dall’Unione Europea. Ma a che punto siamo?
Un dato sembra certo: secondo quanto calcolato dall’Istituto Superiore di Sanità, il carico sanitario in Italia stimato ammonta a circa 4.400 decessi (3.860 uomini e 550 donne) all’anno dovuti proprio all’esposizione ad amianto nel periodo 2010-2016. Di questi, 1.515 sono persone decedute per mesotelioma maligno (più dell’80% dei mesoteliomi è causata dall’amianto), 58 per asbestosi (malattia polmonare causata da inalazione di fibre di amianto), 2.830 per tumore polmonare e 16 per tumore ovarico.
L’ISS ha anche analizzato i dati sulla mortalità precoce (prima dei 50 anni) per mesotelioma: nel periodo 2003-2016 in Italia sono stati registrati circa 500 decessi. Si tratta verosimilmente di persone che da bambini hanno vissuto in aree italiane contaminate da amianto e/o che sono stati esposti indirettamente a fibre di amianto in ambito domestico a causa delle attività professionali dei genitori o connessa ad attività ricreative. Questi casi rappresentano il 2,5% del totale dei decessi per mesotelioma nello stesso periodo.
Dal 1 luglio 2025 tutti gli Stati membri dell’Unione Europea dovranno aver provveduto all’eliminazione dei “prodotti” di amianto (Regolamento UE 2016/1005) e l’eradicazione delle malattie amianto-correlate rientra tra le priorità “ambiente e salute” dell’OMS per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile.
La maggior parte dei casi di mesotelioma è causata da esposizione ad amianto in ambito lavorativo, ma gli effetti di esposizioni ambientali sono riconosciuti, con una stima a livello globale dei casi di mesotelioma “ambientali” tra il 5 e il 20% di quelli totali.
Per questo dovrebbe essere riaperto il dibattito promosso dal Parlamento europeo con la risoluzione dell’ottobre 2021 “per la protezione dei lavoratori dell’amianto”, nella quale si sollecitano gli Stati membri ad intraprendere tutte le azioni volte all’eliminazione degli effetti sulla salute delle potenziali esposizioni ad amianto professionali ed ambientali.
28 aprile, Giornata mondiale per le vittime dell’amianto
Una questione ancora del tutto irrisolta è quella relativa alle discariche autorizzate. Secondo Ispra, sono solo 19 le aree in grado di ricevere rifiuti contaminati, meno di una per Regione. Ciò a fronte delle stime ufficiali che trovate nelle sezioni del sito web del ministero della Transizione ecologica: sia secondo quelle dei siti contaminati di interesse nazionale (Sin), che secondo quelle del Piano nazionale amianto (Pna), varato nel 2012 e mai messo in pratica, parlano ancora di 108mila siti contaminati e solo 7.905 siti bonificati al 30 dicembre 2020.
Eppure già nel 2018 Legambiente con il rapporto Liberi dall’amianto era riuscita a quantificare, proprio dai dati ottenuti mediante dei questionari somministrati alle stesse regioni, una stima di 370mila siti contaminati, pari circa a 57 milioni di metri quadrati di coperture di cemento-amianto.